giovedì 30 ottobre 2014

Il Derby di Sarajevo


di Lorenzo Pecci
Sarajevo è una città particolare purtroppo con una storia recente alquanto cruenta. E’ infatti sfortunatamente balzata sulle prime pagine di tutta la stampa mondiale dal 1992 quando lo scoppio della guerra a seguito dell’ esito del referendum per l’ indipendenza dalla Yugoslavia ( ormai sempre piu’ smembrata ) sanciva di fatto la nascita dello stato bosniaco.

Tornando nella sfera calcistica cittadina , che contempla anche altre 2 squadre in massima divisione Olimpic e Slavija  ,  il derby tra Zeljeznicar e Sarajevo è un derby anche vede contrapporsi anche 2 classi sociali differenti  cioe’ popolo vs borghesia .

Andiamo  a spiegare piu’ nel dettaglio :

Zeljeznicar Sarajevo : la squadra del popolo , i Plavi ( i blu ) è la squadra dei ferrovieri nata nel 1921 , al tempo della Jugoslavia hanno vinto 1 titolo nel 1971-72 e hanno avuto il miglior risultato europeo nella stagione 1984 quando persero’ l’ accesso in finale dell’ allora UEFA subendo un goal a 2 minuti dal termine contro il Videoton  .  Giocano gli incontri casalinghi al Grbavica ( 8mila  spettatori ) purtroppo tristemente famoso in quanto il rinvio dell’ incontro del 4 aprile 1992 contro il Rad Beograd sanci’ anche il ritiro dal campionato dei Plavi dal campionato yugoslavo per cause di forza maggiore . ( era praticamente diventato un a trincea di guerra )  . Tanti giocatori hanno giocato con questa gloriosa maglia come il giovanissimo Mario Stanic , Haris Skoro , Bosko Jankovic al grande Edin Dzeko al mitico Ivica Osim l’ ultimo CT Jugoslavo.


FK Sarajevo :  è la squadra della borghesia voluta dall’ aristocrazia subito la fine della 2 guerra mondiale , originariamente nata con il nome di Torpedo Sarajevo come omaggio alla torpedo Mosca, i Bordo-Bijeli al tempo yugoslavo ha vinto 2 titoli e giocano nel mitico stadio Olimpico  ( 36mila spettatori e spesso usato dalla Nazionale ) costruito nel ’47 e rimodernato x le olimpiadi invernali dell’ 84 che dal 2004 è intitolato alla leggenda Ferhatovic Asim che gioco’ l’ intera carriera con la maglia del FK ad eccezione di 9 gare con il Fenerbahce nel 1961 da dove scappo’ per tornare al Sarajevo perche’ non si sentiva a casa.

Il derby è anche la sfida tra THE MANIACS E HORDE ZLA ossia le due tifoserie ( i Maniaci e i l’ Ordine dei Diavoli ) 2 delle piu’ importanti tifoserie bosniache  come sempre non mancano scontri tra le due fazioni , le cui coreografie sono tra le piu’ belle d’ Europa. Molte dei loro militanti sono stati in prima linea nella difesa della citta’ di Sarajevo durante l’ assedio.

Il 2 di novembre si ritorna in campo per il primo derby cittadino della stagione  nel campo dello Zeljeznicar , sara’ anche il primo derby per il neo allenatore dell’ FK SARAJEVO dopo l’ esonero  Usciuplic dopo il pessimo inizio di campionato costellato di alti e bassi , infatti dopo la sconfitta di fine settembre nel big-match contro il Siroki è stato assunto Meho Kodro ex bomber del Real Sociedad e Barcellona , partita che si preannuncia importante per entrambi per la lotta al vertice.

Al momento nel computo degli incontri dal 1992 ad oggi il bilancio è in parita’ con 11 vittorie ciascuno e 19 pareggi  37 a 32 il bilancio dei goal in favore del FK Sarajevo.    

 

lunedì 27 ottobre 2014

La Coppa Ottorino Barassi


di Vincenzo Lacerenza

Ottorino Barassi era un uomo dotato di una spiccata prontezza di spirito. Ingegnere, non a caso nel 1933 era stato nominato segretario generale della F.I.G.C. con l’incarico di organizzare il mondiale casalingo dell’anno successivo. La nazionale di Pozzo conquisterà quell’edizione non senza ombre politiche, bissandola quattro anni dopo in Francia. Unica squadra insieme al Brasile di Pelè capace di vincere la Coppa del Mondo per due edizioni consecutive. Ma siamo nel 1938. Venti di guerra spirano sull’Europa, il fascismo impera in Italia, il nazismo progetta l’invasione della Polonia. Il Patto d’Acciaio è alle porte. La guerra prenderà forma da lì a poco, finendo per fagocitare anche i Mondiali di Calcio. Ma non la coppa Jules Rimet. Una statuetta raffigurante una vittoria alata, retta da un coppa decagonale poggiata su un piedistallo di marmo a base ottagonale. Un’opera partorita dal genio artistico di Abel Lafleur, uno dei più rinomati scultori dell’epoca.

Tremilaottocento grammi, milleottocento dei quali in argento “sterling” placcato in oro. Impossibile non sedurre le attenzioni naziste durante il conflitto. Servono fondi, l’oro della coppa fa gola alla Gestapo d’istanza a Roma. L’abitazione romana dell’ingegnere nonchè vice presidente della FIFA diviene subito l’obiettivo dei gendarmi al soldo del Fuhrer.

domenica 26 ottobre 2014

EuropaLeague2015: Quelle a punteggio pieno


Legia Varsavia. Dopo le prime tre partite dei gironcini dell’Europa League, soltanto tre squadre sono riuscite a rimanere a punteggio pieno ed ipotecando seriamente la qualificazione ai turni ad eliminazione diretta. Tra le maggiori sorprese è da segnalare senza dubbio quella del Legia Varsavia, compagine peraltro esclusa dalla Champions League, in seguito ad un clamoroso errore, dopo che la squadra polacca aveva nettamente dominato sul campo il Celtic Glasgow. I militari di Varsavia, infatti, avevano fatto giocare seppur per pochi minuti un loro calciatore squalificato. Tuttavia, la squadra di Henning Berg, norvegese di lungo corso ex del Blackburn e del Manchester United, ha ottenuto un ulteriore successo esterno contro il Metallist Kharkiv, intenzionato a dire qualcosa di importante in questo torneo. I gol sono quelli del serbo Radosevic, l’organico è di assoluto rilievo ed il Legia può contare anche su una tifoseria vasta che nelle gare casalinghe al Pepsi Arena rappresenta il 12° uomo in campo. Una tifoseria xenofoba, razzista, un white power nel suo vero senso della parola, che però ha costituito un alleato prezioso anche contro il Trabzonspor ed il Lokeren. Il miglior risultato del Legia in Europa è la semifinale di Coppa dei Campioni del 1969/70 persa contro il Feyenoord. Risultato eguagliato in Coppa delle Coppe nel ’91, ma eliminato dal Manchester United. Manca tra i militari di Varsavia da molto tempo un ulteriore risultato di prestigio.

Dynamo Mosca. La Dynamo Mosca di Cherchesov anche è arrivata ai gironcini in maniera tribolata, anche se per opposti motivi. I moscoviti, infatti, avevano scippato la qualificazione a tempo scaduto ai ciprioti dell’Omonia a Nicosia, beneficiando di un arbitraggio molto contestato. Tuttavia, la vecchia e gloriosa Dynamo punta ad un risultato di assoluto prestigio, potendo contare su un organico qualitativamente importante. Ha ottenuto i suoi migliori risultati in Coppa delle Coppe: finalista nel ’72 contro Rangers Glasgow, quindi semifinalista nel ’78 di fronte all’Austria Vienna e nel 1985 contro il Rapid Vienna.

 La terza squadra a punteggio pieno è la Fiorentina di Vincenzo Montella, anche lo scorso anno protagonista. I viola stanno gestendo al meglio il loro girone e punteranno anche questa volta a qualcosa di estremamente importante e potrebbe esserlo.

 Nel contesto del tabellone dei gironcini di qualificazione bisogna anche sottolineare l’interruzione che ha subito il derby tra lo Slovan Bratsislava e lo Sparta Praga, con i tifosi ospiti protagonisti nell’aggredire quelli dello Slovan. Una lunga sospensione del match che ha richiamato gli echi molto freschi di quanto accaduto per Serbia-Albania. Come dire che l’Europa apparentemente unita conserva non poche acredini di confine.

 Raoul Rusescu della Steaua Bucarest è il capocannoniere della manifestazione. Lo seguono con 4 centri Krmaric del Rijeka, Alan del Salisburgo e Kane del Tottenham Hotspur.

venerdì 24 ottobre 2014

Il campionato più bello del mondo: Lorenzo, il ragazzo di Calabria


Pino Lorenzo ai tempi
del Catanzaro
di Vincenzo Paliotto 
C’era poco o nulla da salvare per quell’Inter trapattoniana edizione 1987/88. I nerazzurri meneghini al massimo potevano aspirare ad un piazzamento UEFA al culmine di una stagione a dir poco deludente. Era arrivato in Italia anche Vincenzino Scifo, ma  predicare nel deserto del centrocampo nerazzurro. A quell’Inter addirittura era capitato in Coppa UEFA di perdere in casa a San Siro per mano del Turun Palloseura, compagine finlandese di dilettanti, andata miracolosamente in gol con Mika Aaltonen, che poi la stessa Inter comprò per dare in prestito al Bologna.

 Ad ogni modo, l’8 maggio del 1988 l’Inter cercava punti pesanti a Cesena, contro i locali allenati da Albertino Bigon, che però a loro volta dovevano salvarsi, dopo un campionato più che dignitoso. Bigon beneficiò dell’esperienza di Agostino Di Bartolomei e di giovani talentuosi, quali Sebastiano Rossi, Alessandro Bianchi, Ruggiero Rizzitelli. L’Inter, comunque, passò doppiamente in vantaggio con un penalty di Altobelli al 42’, alla sua ultima stagione nerazzurra, e con Serena al 60’. Quel Cesena però non si diede per vinto ed in tre minuti riequilibrò il risultato. Al 73’ accorciò le distanze Bordin, mentre al 76’ ristabilì la parità Pino Lorenzo, giovane bomber catanzarese in prestito dalla Sampdoria, ma esploso nel 1982/83 in Interregionale con la maglia del Cesenatico, ma al tempo di proprietà del Catanzaro. Il “ragazzo di Calabria” siglò il gol più importante di quella stagione. Il Cesena avrebbe centrato la salvezza, mentre l’Inter sarebbe approdata in Coppa UEFA.

martedì 21 ottobre 2014

Amarcord: La Copa Interamericana


di Vincenzo Lacerenza
 
America di Città del Messico del 1978
La chiamano la Venezia d’America. Secondo alcuni un’esagerazione, un’ iperbole da campanilismo compulsivo. Sicuramente non per gli studenti statunitensi in vena di Spring Break, la tradizionale vacanza concessa dagli istituti scolastici. In primavera folte torme di studenti in fuga dalla monotonia delle grandi metropoli si riversano qui in cerca di divertimento, di sbornia o hangover come si dice da queste parti. Un esilio di piacere, lontano dagli stereotipi routinari delle città. Siamo infatti a Fort Lauderdale, Florida, poche miglia da Miami. Meta del piacere, del sollucchero disincantato e disinibito, ma anche capolinea della Coppa Interamericana. Qui infatti, il 5 Dicembre 1998, Eddie Pope e Tony Sanneh infilavano il Vasco da Gama, ribaltando la sconfitta dell’andata e conquistando l’ultima edizione della Coppa Interamericana. Vittoria a sorpresa degli statunitensi del DC United sui brasiliani del Vasco Da Gama, guidati dal talento di Juninho Pernambucano. Ultimo anelito di una storia iniziata trent’anni prima. Era il 1968, nel mondo divampava la contestazione studentesca e dopo un turbolento concepimento e un’altra altrettanto esagitata gestazione arrivava il saluto al sole della Coppa Interamericana. Una competizione modellata sulle vestigia della Coppa Intercontinentale, nata otto anni prima. Voluta sopratutto dalla Concacaf per soddisfare il desiderio di affermarsi come la terza confederazione mondiale, la Coppa Interamericana metteva di fronte la vincitrice della Coppa Libertadores con quella della ConcaChampions. Chiaro l’ obiettivo di eleggere il campione del continente americano. Il Nord America opposto al Centro-Sud America. Dall’Alaska alla Patagonia passando per i Caraibi. Due diversi imprinting. Uno scontro tra filosofie. Da una parte quella anglo-francese, introiettata dai padri pellegrini della Mayflower e da Giovanni da Verrazzano. Dall’altra quella latina e spagnoleggiante inculcata da Hernan Cortes e dagli altri conquistadores. Due concezioni della vita così diverse nella loro similitudine. Parallelamente convergenti. Covergenti proprio nella Coppa Interamericana, che con un po’ di fantasia e tanta immaginazione può essere vista come una sorta di riproposizione della Guerra anglo-spagnola, quella dell’Invicibile Armata per intenderci. Quel conflitto non assunse mai il crisma dell’ufficialità, mentre le ostilità calcistiche della Coppa Interamericana iniziarono ufficialmente nel 1968.

domenica 19 ottobre 2014

Il disastro del Luzniki


I capitani di Spartak Mosca ed Haarlem Rotterdam
OIeg Romntsev e Martin Haar
di Lorenzo Pecci
Al 20 ottobre purtroppo risale il 32° anniversario della più grande tragedia sovietica, tragedia che rimase nascosta all' umanità fino al 2007. Ma cosa successe effettivamente quel giorno ?

2° turno della ex Coppa UEFA gara di ritorno tra i padroni di casa dello Spartak Mosca e gli olandesi dell' Haarlem , lo Spartak proviene da un primo turno dove ha clamorosamente eliminato l' Arsenal con una doppia vittoria, mentre gli olandesi hanno avuto la meglio sui belgi del Gent. Fa freddo al Central Stadion Lenin la temperatura è intorno ai -10° i pochi spettatori circa 17000 tra cui una 30 di indomiti olandesi prende posto nello stadio, a fine 1° tempo lo Spartak conduce 1-0 si procede stancamente verso la fine dell' incontro alcuni spettatori decidono di uscire un po prima per far ritorno a casa , l' unica via di fuga è l' uscita est dove le forze dell' ordine incalanano gli spettatori , è l' 89 quando in uno degli ultimi assalti Schvetsov segna il 2-0 la gente esplode in un boato e coloro che stavano scendendo le scale tentano di risalirle per vedere cosa sta succedendo sfortunatamente le forze dell' ordine bloccano la risalita e i tifosi si trovano schiacciati sulle scalinate molti perdono l' equilibrio misteriosamente il cancello a soffietto è bloccato da un cumulo di neve la gente quindi si trova schiacciata e soffocata è una strage. Nessuno sa niente l' Haarlem viene invitato a lasciare velocemente lo stadio senza motivo neanche i calciatori dello Spartak sanno qualcosa. Il giorno seguente solo un piccolo trafiletto che parla di alcuni scontri tra tifosi sovietici e forze dell' ordine. Al processo viene dichiarato colpevole il custode dello stadio che si farà 2 anni poi ridotti a 6 mesi di carcere con l' accusa di negligenza nelle mansioni di servizio.

venerdì 17 ottobre 2014

Estadio Nacional, il gol più triste

 
Estadio Nacional, il gol più triste è il nuovo racconto di Vincenzo Paliotto della collana Offside, iniziata con Stasi Football Club.
 59 pagine, edito dalla Urbone Publishing, si avvale della preziosa prefazione di Nicola Sbetti.

 
 
Ci fu purtroppo un altro 11 settembre nella storia moderna dell’umanità. Non quello ugualmente tragico delle Torri Gemelle newyorkesi, ma in Cile, un paese forse appositamente tenuto lontano dalle attenzioni dei mass media ed il cui richiamo, meno eclatante ma allo stesso modo tragico, svanì presto tra le pagine della storia. Tuttavia, quell’11 settembre del 1973 segnò l’inizio della dittatura militare sanguinosa, con cui si intrecciarono le vicende della Nazionale di calcio cilena, di una clamorosa rinuncia dell’URSS, di Caszely, uno che ebbe il coraggio di rifiutarsi di stringere la mano al dittatore Augusto Pinochet, e dell’Estadio Nacional, concepito per celebrare le gioie del fùtbol, che poi si trasformò in campo di concentramento e che poi ancora tornò ad essere un campo di calcio. Anche se non era più la stessa cosa.
 

giovedì 16 ottobre 2014

Il campionato più bello del mondo- Non sempre fu Fatal Verona


di Vincenzo Paliotto

 Non sempre il Marc’Antonio Bentegodi risultò fatale per i colori rossoneri del Milan. Perso lo Scudetto del 1973 in maniera catastrofica  e quindi anche quello del 1990, per delle coincidenze assurde e mortificanti, il Milan conquistò però un successo importante in casa dell’Hellas il 17 dicembre del 1978. Il Milan di Liedholm, reduce da un successo casalingo sul Torino, si giocava a Verona un match delicato ed importante per alimentare le proprie ambizioni tricolori.

 La partita agli ordini del Signor Reggiani si rivelò comunque equilibrato, come da tradizione ed il primo tempo si concluse con un pareggio ad occhiali. Nella ripresa al 54’ l’astro nascente Walter Novellino, giocatore sul quale i rossoneri ponevano molte speranze, portò in vantaggio i milanisti, beffando Superchi. Tuttavia, il Verona pareggiò nel giro di pochi minuti al 62’ con il difensore Arcadio Spinozzi, subentrato nell’intervallo a Ciccio Esposito. Il Milan venne però in quel momento fuori con tutta la sua rabbia e decisione e dopo appena un minuto tornò prontamente in vantaggio con Roberto “Dustin” Antonelli, per uno dei gol probabilmente più importanti del campionato. Antonelli era detto Dustin per la sua somiglianza con l’attore Hoffman e padre dell’Antonelli attuale genoano. Al 74’ poi Walter De Vecchi rifinì il punteggio, portando il risultato sul 3-1 finale.

 Il Milan guadagnò due punti fondamentali per quello che sarà lo Scudetto della Stella.

mercoledì 15 ottobre 2014

“NOVE PUNTI NON SONO STATI SUFFICIENTI, LA PROSSIMA VOLTA PROVATE A DARCENE VENTI”


 
di Emanuele Gullo (collaboratore di
www.calciodadietro.altervista.org un sito web senza dubbio da visitare)
Nove espedienti per raccontare in nove minuti (di lettura) una stagione calcistica da nove punti di penalizzazione…

1. Una Premessa: l’anno preferito del tifoso di calcio

Nella vita di ogni tifoso di calcio c’è un evento particolare o un’annata della propria squadra che rimane più di tutti impressa nel cassetto dei ricordi. Per certi tifosi scegliere un anno d’oro può essere facile. Chi tifa Real, Bayern o Barcellona, si trova di fronte a una scelta impagabile e allo stesso tempo invidiabile: quale dei numerosi campionati ha scatenato in loro più emozioni? Per altri invece, che professano la propria fede per squadre meno blasonate, le carte da pescare nel mazzo sono poche. Non sempre legate a vittorie e trionfi. Non per questo meno dolci e uniche. E allora, come direbbe Cris Pierson, cos’è che rende un’annata migliore delle altre? Un connubio perfetto di circostanze, di fattori e di componenti, oggettive e soggettive che collimano tra loro, o semplicemente il legame emozionale e viscerale che ci lega ad essa? Fa niente, quel che è certo è che da qualunque prospettiva si guardi la propria fede calcistica, significa confrontarsi con un mix di sentimenti che coinvolgono la parte razionale e irrazionale di noi stessi.

2. Delle ipotesi: C1 o Serie B?

Ci sono storie poi che si innescano da una serie irrazionale di eventi, in cui squadra tifosi e società toccano con mano l’ineluttabilità dell’inferno, ed insieme vivono l’esperienza della resurrezione, della gioia rotta da un pianto liberatorio. Magari proprio in una torrida estate dell’86. In cui l’Italia “Mundial” di quattro anni prima non c’è più. Perché uscita con le ossa rotte dai Mondiali in Messico (do you remember il “gol del siglo” di un certo Maradona?), così come il calcio italiano, sconvolto nuovamente dal calcioscommesse. A sei anni dal “Totonero”. A sei anni da una delle pagine più vergognose del calcio italiano. L’inchiesta denominata fantasiosamente “Totonero Bis”, colpisce di nuovo molte squadre di Seria A. Tra esse c’è, guarda tu il caso, la Lazio. Si proprio la Società Sportiva Lazio. Costretta questa volta a pagare per l’illecito di un suo ex giocatore, Claudio Vinazzani. Amico di un certo Armando Carbone. Uomo distinto, ben inserito in un giro di scommesse clandestine pallonare, arrivate in breve tempo a taroccare anche le partite di serie A. Sapete no come vanno i meccanismi in questi casi. Tizio chiama Caio che parla con Sempronio, che a sua volta chiama Calpurnio, che si mette d’accordo con i suoi amici e richiama Tizio per confermare l’accordo. Se il gioco del telefono non viene interrotto da qualcuno che taglia i fili della cornetta, tutto procede per il verso giusto e tutti sono felici. Se tutto va bene e se tutti fanno la loro parte. Come ben è noto però, le frasi che iniziano con il “se” hanno sempre quel non so di ipotetico. E così, succede che da un momento all’altro i telefoni inizino a scottare e che, di punto in bianco, arrivino gli 007 federali della FIGC a tagliare i fili dei ricevitori. Che il procuratore federale della FIGC De Biase (alter ego del più famoso Palazzi) decida di chiedere una punizione esemplare per la società biancoceleste: “retrocessione in serie C1 per violazione dell’articolo 1 del codice di giustizia sportiva”. Richiesta poi confermata dalla sentenza del 5 maggio a Gubbio: “Società Sportiva Lazio: retrocessione in Serie C1”. Un colpo secco. Come la scure di un boia. A tagliare in un attimo il sogno dei tifosi laziali e del presidente Calleri della promozione in Serie A. La notizia li lascia attoniti. Increduli. Quasi fosse un scherzo. “Na presa per culo” come si direbbe a Roma.

martedì 14 ottobre 2014

Quando l'Uganda sfiorò la vittoria in Coppa d'Africa


di Vincenzo Lacerenza
 
Quando John Hanning Speke e James Augustus Grant scoprirono le sorgenti del Nilo, in Africa Orientale imperavano i regni tradizionali. Uno dei più grandi ed estesi era quello di Buganda. Dal Lago Kyonga al Lago Vittoria, dal Nilo Vittoria al Lago Alberto. Governato dai kabaka, nome luganda dei sovrani locali, non fu mai conquistato da coloni inglesi. Questione di orgoglio, di identità, di tradizione. Fu infatti il kabaka Mwanga ad accettare lo status di protettorato britannico nel 1894. Importante per le piantagioni di cotone e caffè e sede di un nevralgico snodo ferroviario che collegava Mombasa a Kampala, il paese perse la condizione di protettorato britannico con l’indipendenza arrivata nel 1962. Precisamente il 9 Ottobre 1962, data in cui il re Mutesa II venne affiancato alla guida del paese dal primo ministro Milton Obote.

Una convivenza forzata, mal digerita sopratutto dal katikiro, letteralmente il consigliere, Obote. Da consumarsi nella nuova capitale. Non più Entebbe, ma bensì Kampala. La città sorta attorno al forte eretto nel 1890 da tale Frederick Lugard e adagiata sulle tondeggianti colline Nakasero. Non molto distante dalle sterminate rive del Lago Vittoria e dalle vorticose cascate Ssebziwa. Dopo quattro anni di finta sopportazione, nel 1966 Obote da la stura agli istinti antimonarchici e con l’aiuto di apparati deviati dell’esercito assalta il palazzo presidenziale. Inevitabile l’esilio di Mutesa II. Col sovrano fuori gioco e dopo l’immancabile modifica costituzionale dell’anno successivo, Obote inizia a governare l’Uganda, nome swahili con la quale era conosciuta la parte meridionale del regno di Buganda. Ma chi di spada ferisce di spada perisce. Il contrappasso di Obote si materializza nel 1971, circa dieci anni dopo l’indipendenza del paese. La notte del 25 Gennaio 1971 è una notte dai lunghi coltelli. Colpi di mortaio squarciano le tenebre. I golpisti capeggiati da Idi Amin Dada entrano a Kampala. Stringono d’assedio le caserme, si impossessano dei nuclei del potere fino a far cadere il governo di Obote.

Inizia così la dittatura di Amin Dada, ex luogotenente proprio del deposto primo ministro. Inizialmente salutata con favore dalle potenze Occidentali, specie per la deriva comunista assunta da quella precedente , sarà una delle più sanguinarie di tutta la storia politica del Continente Nero. Probabilmente una delle tante pagine rimaste incollate nel grande libro della storia. Appena insediatosi al potere Amin Dada inizia le repressioni e le persecuzioni nei confronti delle minoranze etniche. Ad entrare nel mirino dell’istrionico dittatore sono sopratutto le popolazioni nilotiche settentrionali. Amin teme infatti la superiorità numerica nell’esercito degli acholi e dei langi. Ne ordina l’eliminazione cosi come chiede l’allontanamento dal paese degli asiatici, a sua detta troppo ingerenti nelle questioni economiche.

giovedì 9 ottobre 2014

Everton-Liverpool, il Friendly Derby


di Francesco Pietrella
 
In Spagna, ogni anno, l’Athletic Club di Bilbao e la Real Sociedad di San Sebastian si affrontano nel celeberrimo Derbi Vasco, una sfida pacifica, suggestiva e tranquilla, dove le frange più estreme delle due tifoserie (l’Herri Norte Taldea dei Leones e la Mujika Taldea della Real) si uniscono sotto un’unica bandiera, l’Ikurrina basca, per protestare contro i soprusi che il governo spagnolo perpetra da anni nei confronti di questa comunità, prima con il caudillo Franco ed ora – seppur in maniera minore – con i nuovi esecutivi democratici. Durante ogni incontro, dagli spalti dell’Anoeta o del San Mamés, si evince un bellissimo dipinto dai colori bianco, rosso e blu, condito da lealtà sportiva e intrinseca passione. Può sembrare un episodio unico nella storia del football mondiale, ma non è così, perché proprio nella patria degli hooligans, l’Inghilterra, c’è chi è riuscito ad emanciparsi da squallidi episodi di violenza, andando a completare quel quadro di cui parlavamo prima. Per trovare un altro esempio di sportività bisogna quindi andare nella Liverpool dei Beatles, lungo l’estuario del Mersey, uno dei tanti fiumi che sorgono dalle pendici dei Monti Pennini, ed assistere al Friendly Derby tra i Reds e l’Everton, protagonisti di una sfida storica che, almeno per un attimo, dissolve nel limitrofo Mar d’Irlanda gli scontri tra tifosi a cui ogni santa stagione siamo costretti ad assistere.

Nonostante il Liverpool vanti una delle firm più violente del mondo, i famigerati Scousers (il cui nome deriva degli abitanti dell’area di Liverpool), nonché infelice protagonista nelle tragedie dell’Heysel e di Hillsborough (dove, però, la colpa fu soprattutto della polizia, come ribadito dal Premier David Cameron), durante la sfida contro i cugini gli animi sembrano placarsi sugli spalti della Kop, una delle poche curve a non essere mai stata conquistata. Dall’altra parte, i County Road Cutters dei Toffees (la frangia più estrema del tifo blue), famosi per essere stati uno dei primi gruppi ultrà ad utilizzare lo stile casual (proprio come il Liverpool), ovvero scarpe bianche e giacche uguali (possibilmente targate Stone Island, come si evince dal film Hooligans con Elijah Wood, una delle pellicole più famose riguardanti suddetto fenomeno), inneggiano cori a favore del proprio team senza ricevere screzi o provocazioni da parte dei rivali. Anche qui, proprio come accade durante il Derbi Vasco, i tifosi siedono gli uni accanto agli altri, esultano, si sfogano e discutono tra loro, ma sempre con rispetto reciproco, sia a Goodison Park che ad Anfield, che, separati dal solo Stanley Park, distano soltanto 1,5 miglia. Inizialmente la casa dei Reds veniva utilizzata dall’Everton, ma nel 1892, a causa di dissidi con il proprietario del ground, John Holding, si trasferì nell’impianto odierno dando inizio ad una favola che dura ancora oggi.

Così, come gli aficionados vascos si fondono quando entra in gioco l’indipendenza, gli hooligans di Liverpool si uniscono nell’odio comune nei confronti di Manchester, non solo all’indirizzo del Man United e il Man City, ma proprio verso la città, la cui rivalità nasce a seguito della crisi economica degli anni ’70, in quanto l’attività lungo il Manchester Ship Canal ridusse il traffico del porto di Liverpool, che fu costretto a chiudere e a licenziare tutti i suoi lavoratori. E’ quindi un odio cittadino, prima di tutto sociale oltre che calcistico (è forte anche la contrapposizione Beatles vs Rolling Stones), ma il più delle volte, la disputa sfocia nei prati verdi dei campi da gioco: nel 1984 infatti, in occasione della finale di Coppa di Lega disputatasi nella vecchia casa del City ormai demolita, il Maine Road, tra l’Everton e il Liverpool, un irriverente ‘Where is Manchester?’ partì dalle tribune, a sottolineare che quel giorno c’erano le due squadre della città rivale a dominare la scena calcistica inglese. Nel 2005 invece, le due tifoserie si unirono negli scontri contro la Red Army del Man United, generando il panico per le vie di Liverpool, tanto che il giorno dopo la scena venne ribattezzata come la Battaglia della valle dell’Everton, il solito titolo pungente dei tabloid britannici. Nel 2012 infine, durante il match tra Everton e Newcastle, a seguito del riconoscimento della responsabilità della polizia nella strage dell’Hillsborough, due bambini con le casacche di Toffees e Reds entrarono a Goodison Park con i numeri 9 e 6 sul retro delle maglie, suscitando gli applausi e la commozione di tutto il pubblico di casa.

Nonostante la palese superiorità del Liverpool, l’Everton non sembra risentire di questo gap, in quanto continua a vivere il Derby del Merseyside all’insegna della sportività. Certo, dal curriculum di entrambe le tifoserie non emerge una costante predisposizione alla tranquillità e alla pacatezza, soprattutto da parte dei Reds, ma durante questo incontro gli ultrà sotterrano l’ascia di guerra e si godono la partita pensando solo ed esclusivamente al risultato, in quanto sono molte le famiglie composte da sostenitori di entrambe le fazioni. Tuttavia, il Friendly Derby rappresenta un granello di sabbia nel deserto, una goccia che a suo malgrado si disperde in questo mare di violenza extracalcistica, la quale, sicuramente, non fa parte di quello splendido dipinto prima descritto, composto invece da tifosi leali e corretti.

http://www.football-please.com/home/firms-rivalries-friendly-derby/

 

sabato 4 ottobre 2014

Il campionato più bello del mondo: Gol di Brizi


 Quindici anni trascorsi con addosso sempre la stessa maglia sono lunghi ed intensi e Giuseppe Brizi, di professione specializzato a giocare in tutti i ruoli della difesa, li passò tutti nel migliore dei modi alla corte della sua amata Fiorentina. I gigliati andarono a pescarlo nel 1961 nelle file della Maceratese, impegnata nel Campionato di Serie D. Giocò con la squadra di Firenze fino al 1976, disputando 280 partite, condite da due gol.  Fu Campione d’Italia nel 1969, ma a Firenze lo ricordano anche per un’altra memorabile prodezza.

 Il 16 maggio del 1971, infatti, i viola giocavano una difficilissima partita interna al cospetto dell’Inter, unica squadra a laurearsi Campione d’Italia pur cambiando allenatore nel corso del campionato stesso. La Fiorentina, invece, doveva tirarsi fuori dalle sabbie mobili della lotta per non retrocedere. La Fiorentina passò per prima in vantaggio con Giorgio Mariani, ma venne raggiunta e poi superata dai gol del brasiliano Jair e di Sandro Mazzola. Le speranze di salvezza dei fiorentini si erano così ridotte al lumicino. Nel rush finale del campionato con questa sconfitta avrebbero potuto avere la meglio il Foggia e la Sampdoria, condannando ad un amaro verdetto al Fiorentina a due soli anni dallo Scudetto. L’ultima parola però la scrisse in tal caso proprio Giuseppe Brizi, che in una delle sue rare proiezioni offensive siglò il punto decisivo. Era ormai già il 90’ e Brizi trafisse da distanza ravvicinata Lido Vieri per il 2-2 finale.

 Brizi ha segnato due soli gol nella sua lunga permanenza fiorentina, ma questo fu senza dubbio il più importante della sua vita.