martedì 21 ottobre 2014

Amarcord: La Copa Interamericana


di Vincenzo Lacerenza
 
America di Città del Messico del 1978
La chiamano la Venezia d’America. Secondo alcuni un’esagerazione, un’ iperbole da campanilismo compulsivo. Sicuramente non per gli studenti statunitensi in vena di Spring Break, la tradizionale vacanza concessa dagli istituti scolastici. In primavera folte torme di studenti in fuga dalla monotonia delle grandi metropoli si riversano qui in cerca di divertimento, di sbornia o hangover come si dice da queste parti. Un esilio di piacere, lontano dagli stereotipi routinari delle città. Siamo infatti a Fort Lauderdale, Florida, poche miglia da Miami. Meta del piacere, del sollucchero disincantato e disinibito, ma anche capolinea della Coppa Interamericana. Qui infatti, il 5 Dicembre 1998, Eddie Pope e Tony Sanneh infilavano il Vasco da Gama, ribaltando la sconfitta dell’andata e conquistando l’ultima edizione della Coppa Interamericana. Vittoria a sorpresa degli statunitensi del DC United sui brasiliani del Vasco Da Gama, guidati dal talento di Juninho Pernambucano. Ultimo anelito di una storia iniziata trent’anni prima. Era il 1968, nel mondo divampava la contestazione studentesca e dopo un turbolento concepimento e un’altra altrettanto esagitata gestazione arrivava il saluto al sole della Coppa Interamericana. Una competizione modellata sulle vestigia della Coppa Intercontinentale, nata otto anni prima. Voluta sopratutto dalla Concacaf per soddisfare il desiderio di affermarsi come la terza confederazione mondiale, la Coppa Interamericana metteva di fronte la vincitrice della Coppa Libertadores con quella della ConcaChampions. Chiaro l’ obiettivo di eleggere il campione del continente americano. Il Nord America opposto al Centro-Sud America. Dall’Alaska alla Patagonia passando per i Caraibi. Due diversi imprinting. Uno scontro tra filosofie. Da una parte quella anglo-francese, introiettata dai padri pellegrini della Mayflower e da Giovanni da Verrazzano. Dall’altra quella latina e spagnoleggiante inculcata da Hernan Cortes e dagli altri conquistadores. Due concezioni della vita così diverse nella loro similitudine. Parallelamente convergenti. Covergenti proprio nella Coppa Interamericana, che con un po’ di fantasia e tanta immaginazione può essere vista come una sorta di riproposizione della Guerra anglo-spagnola, quella dell’Invicibile Armata per intenderci. Quel conflitto non assunse mai il crisma dell’ufficialità, mentre le ostilità calcistiche della Coppa Interamericana iniziarono ufficialmente nel 1968.


Prima edizione, primi intoppi. Problemi di calendario e trasferimenti costringono a rimandare l’esordio della manifestazione alla primavera dell’anno successivo. Difficoltà che accompagneranno la competizione in tutta la sua breve storia fino a segnarne la fine.

La prima finale, tra Estudiantes e Toluca, si gioca così nel febbraio del 1969. La compagine messicana viene sconfitta in casa, ma si rialza prontamente andando a vincere in Argentina. Nello spareggio decisivo per l’assegnazione del trofeo, giocato a Montevideo, non c’è però storia: l’Estudiantes liquida il Toluca con un perentorio 3-0. Sono Los Pincharratas i primi a potersi fregiare del titolo di “Campioni d’America”.

Dopo tre anni di astinenza forzata, la Coppa torna a disputarsi nel 1971. A contendersi l’eredità dell’Estudiantes sono i messicani del Cruz Azul e gli uruguagi del Nacional Montevideo. Allo Stadio Azteca di Citta del Messico finisce 1-1. Dopo quattro mesi al Centenario di Montevideo il Tricolor si impone 2-1 sulla Maquina Celeste e fa suo il trofeo.

Due successi delle squadre latinoamericane in altrettante edizioni. Un’umiliazione troppo grande per la Concacaf. Bisogna correre ai ripari, serve qualcosa per invertire la tendenza. L’aiutino non tarda ad arrivare. Nella terza e la quarta edizione le partite di andata e ritorno si disputano ambedue in casa dei Campioni del Nord America. L’handicap non basta per frenare la superiorità tecnica dell’Independiente, capace di portarsi a casa entrambe le edizioni. Nemesi o forse semplicemente manifesta superiorità delle squadre del Sud.

Per vedere una squadra nordamericana trionfare, interrompendo il monopolio sudamericano, bisogna attendere il 1978. A compiere l’impresa è il Club America. Dopo aver perso 3-0 alla Bombonera, Las Aguilas vincono 1-0 tra le mura amiche, acquisendo il diritto allo spareggio (all’epoca non contava l’aggregato).

E’ il 14 Aprile 1978. Allo Stadio Azteca è forte la voglia di essere la prima squadra nordamericana a mettere il trofeo in bacheca. Il supporto del pubblico non manca, il collettivo azulcremas fa il resto. La partita non comincia però sotto il migliore degli auspici. Il Boca parte forte: proiezione laterale di Bordon, palla al centro per Pavon, il lungo attaccante anticipa il diretto marcatore e insacca la rete del vantaggio. Partita in salita per i gialli di casa, bravi a non scomporsi e scaltri a trovare il goal del pari con Josè de Jesus “El Guero” Aceves. Partita infinita. Lo spareggio si trascina ai tempi supplementari. Una lunga agonia o un lungo percorso verso la gloria eterna. Quando ormai la sagoma dei calci di rigore si profila all’orizzonte, l’arbitro decreta un calcio di punizione dal limite per l’America. La zolla preferita da Carlo Enzo Reinoso Valdenegro. Lo stadio trattiene il fiato. Sospeso tra sogni e speranze. Galeggiante tra utopia e realtà. Dicono che l’attesa sia più appagante dell’evento in sè. Quel giorno però non è cosi. Quel giorno teoretica e modi di dire non contano nulla. Conta solo lui, El Maestro. Posiziona accuratamente la sfera, due passi indietro per calibrare meglio le distanze e via con la corsa verso la gloria. La palla scavalca la barriera e diventa imprendibile per El Loco Gatti, il leggendario portiere del Boca Juniors. E’ l’apoteosi. Finalmente l’attesa è finita. Il Club America è la prima squadra nordamericana ad alzare al cielo la Coppa Interamericana.

Più tardi la competizione verrà ribattezzata ironicamente “Coppa Confraternidad“. Non mancheranno nemmeno episodi di violenza come quello avvenuto nella finale del 1991. Siamo a Città del Messico. Si sta giocando la finale di ritorno tra America e Olimpia, quando al 50′ scoppia una megarissa. L’arbitro perde il controllo della situazione e sospende la partita. La contesa verrà riaperta soltanto dopo aver espulso un calciatore per parte e l’allenatore dei messicani Carlos Miloc, reo di aver rivolto una raffica di calci e pugni ad un calciatore paraguaiano. L’America riuscirà comunque a conquistare la coppa, mentre Miloc verrà immediatamente esonerato.

Il cuore della Coppa Interamericana cessa di battere nel 1998 a Fort Lauderdale con la vittoria di una squadra della Concacaf, il DC United. Evento, quasi un hapax legomenon, incapace di stravolgere le gerachie della manifestazione. La rarità sarà anche affascinante, ma difficilmente è rivoluzionaria. Almeno nel calcio. Basta infatti dare uno sguardo all’albo d’oro per accorgersi del dominio e dell’egemonia delle squadre latine. Sono solo tre le squadre targate Concacaf uscite vittoriose dai confronti con le compagini sudamericane: America (1977), UNAM (1980) e DC United (1998). Nel corso della sua storia l’Interamericana si è disputata in molte differenti modalità: partite di andata e ritorno, partita unica, due partite in uno stesso Paese. Inoltre, variò anche il sistema di definizione del vincitore in caso di parità: dapprima era previsto uno spareggio, poi furono introdotti i tempi supplementari, con tiri di rigore in caso di permanenza del pareggio.

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