lunedì 6 luglio 2015

Combinado Cilè-Perù

di Vincenzo Lacerenza (www.calciofuorimoda.blogspot.com)
Con il trattato di Lima del 1929, sottoscritto anche grazie all’alacre opera di mediazione degli Stati Uniti d’America, si estinguono gli ultimi strascichi della Guerra del Pacifico: al Perù viene riconsegnata la provincia di Tacna, mentre il Cile, che nel 1904 aveva firmato i trattati di pace con la Bolivia, sottraendole, di fatto, l’unico sbocco sul Pacifico, si vede confermata la patria podestà sulla provincia di Arica.
Ma già un anno prima del trattato di Lima, come spesso accade, è lo sport, in questo caso il calcio, ad anticipare firme e strette di mano. A favorire la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi, al calor bianco durante gli anni della lotta per i giacimenti di salnitro, ci pensa il viaggio in Perù del Santiago FC: i calciatori cileni, i primi a varcare le frontiere peruviane, si presentano a Lima con tanto di omaggio floreale e con il vessillo peruviano che campeggia in bella mostra sulle divise. Iniziativa replicata, un mese più tardi, dai peruviani: tocca all’Atletico Chalaco ricambiare la cortesia, porgendo il proprio ramoscello d’ulivo al Colo Colo. Fu proprio in occasione di queste gare, organizzate per incoraggiare il ritorno ad una normalità delle relazioni, che a Walter Sanhueza, l’allora numero uno del Cacique, si accende la lampadina: in accordo con un faccendiere peruviano di estrazione irlandese, tale Jack Gubbins, avrebbero allestito un “combinado”, una formazione mista, composta da atleti peruviani e cileni, da inviare in tourneè nel Vecchio Continente.
Ingolositi dai potenziali proventi della tourneè, i due, assemblarono in fretta e furia la squadra, senza badare ad alchimiche distribuzioni delle quote di rappresentanza: il collettivo, da subito ribattezzato “Combinando del Pacifico”, poteva contare su diciassette elementi, di cui quattro cileni: si trattava dei colocolini Montero, Luco, vero fiore all’occhiello della spedizione, Schneberger e Subiabre, il capocannoniere cileno alla rassegna iridata del 1930. Imbarcatosi a bordo dell’Alkmaar il 25 Agosto del ’33, mentre i Cile era in pieno corso di svolgimento il primo torneo nazionale della storia del paese, il “Combinando del Pacifico”, salpò alla volta dell’Europa dal porto peruviano di Callao. Nell’interminabile traversata oceanica, non mancarono momenti difficili: a seminare il panico tra i passeggeri fu sopratutto il caso di Luis de Souza Ferreyra, colpito da un appendicite nel bel mezzo dell’Atlantico, come abbiamo potuto apprendere dal diaro di Roberto Luco, idolo del Colo Colo che, al rientro della tourneè, si sarebbe accasato al Boca Juniors: attanagliato dai dolori lancinanti, data l’assenza di personale medico a bordo, Ferreyra avrebbe dovuto stringere i denti fino allo sbarco. Assistito dalla moglie di Gubbins, Ferreyra tiene duro e sopravvive: in Inghilterra lo operano d’urgenza, salvandogli prodigiosamente la vita. Ma non la tourneè: messo fuori causa dall’appendicite, Luis è costretto ad abbandonare ogni velleità calcistica.

Se l’esperienza di Ferreyra si può già dirsi conclusa, quella dei suoi compagni è appena iniziata: si parte dal Regno Unito, si prosegue in Germania, dove, a Berlino, la selezione viene ricevuta da Adolf Hitler in persona, con il Fuhrer che, s’improvvisa operatore di mercato e cerca, senza esito, di far leva sulle radici germaniche di Schneberger per convincerlo a giocare nell’Herta Berlino, quindi ci si sposta in Costa Azzurra, prima di fare tappa in Spagna. E’ un tour massacrante: poco confortevoli spostamenti in treno, gare ravvicinate e addirittura incontri simultanei. Il teatro dell’assurdo lo si sfiora nel paese iberico, quando a Gubbins sovviene la felice idea di fissare due gare per lo stesso giorno: una col Real Madrid e l’altra con il Barcellona. Non essendo i calciatori dotati del dono dell’ubiquità, il combinado del Pacifico viene frazionato: uno affronterà i catalani e l’altro, innervato anche da due francesi ed un austriaco, sfiderà le Merengues. Entrambe le gare avranno essiti catastrofici: una formazione soccomberà 4-1 con i blaugrana, mentre l’altra farà addirittura peggio, venendo annichilta con un roboante 10-1 dalla Casablanca, che verrà accolto con sdegno in Sudamerica. Con un bilancio in perfetto equilibrio – tredici vittorie, tredici pari e tredici sconfitte (tenendo conto anche di alcune gare disputate in Sudamerica) – il 18 Febbraio del 1934, per il combinado scocca l’ora del rientro: il giocattolo di Gubbins tocca terra a Callao il 7 di Marzo. E’ un rientro trionfale: tra ali di folla festanti, alcuni cronisti raccolgono le dichiarazioni della delegazione cilena, tanto telegrafiche quanto significative: “Hemo sido bien tratados por los peruanos”, dicono prima di fare rientro a Santiago. Quella volta, dopo anni di gelo e di occhiate in cagnesco, Cile e Perù furono una cosa sola. Un fatto storico-sportivo indimenticabile, di enorme potenza significativa, destinato però a rimanere un unicum. Già un anno più tardi, le due nazionali tornano a rivaleggiare più agguerrite che mai: ad offrire l’occasione è il Campeonato Sudamericano del ’35.
Inserite nel girone conclusivo, in compagnia delle super favorite Uruguay ed Argentina, il 26 Gennaio, all’Estadio Nacional di Lima, è in programma il primo, storico, Clasico del Pacifico, disputato nell’ambito del torneo continentale. Per restare in corsa, per quanto possibile, è vietato sbagliare: il Cile è uscito con le ossa rotte dal match inaugurale con l’Argentina, mentre, il Perù, padrone di casa, si è arreso alla rete dell’uruguaiano Castro. Come degli evergreen, sugli spalti, riecheggiano le diatribe sulla chalaca e la chilena, i campanilismi sulla cueca e quelli sul pisco: “sono tutte cose che abbiamo inventato noi” dicono i peruviani, “è roba nostra, poche storie”, rispondono piccati i cileni.
A mettere daccordo tutti, in attesa del prossimo duello, ci pensa, dopo appena cinque giri di lancette, Alberto Montellanos, “el Hombre Culebra”, goleador dell’Alianza Lima che, in un’ epoca come quella, dove il pallone da solo non consentiva di vivere, alternava le brachette di tela alla tuta blu: il totem aliancista, noto per aver trafitto “el Divino” Zamora, durante una tourneè del Deportivo Espanol nella municipalità limena, sbarcava il lunario svolgendo la mansione di operaio presso una fabbrica tessile di La Victoria.
Nonostante il successo, però, la ciurma al soldo di Telmo Carbajo – “el Abuellito”, bandiera dell’Atletico Chalaco, da lui portato al trionfo nazionale nel 1930 – nulla potrà al cospetto dei colossi rioplatensi: con l’affermazione della Celeste sulla Seleccion, propiziata dai talenti Castro e Ciocca, la manifestazione [1] prese, per la settima volta, la via di Montevideo.

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