mercoledì 11 febbraio 2015

Reinaldo è nosso Rei- 2a parte


Reinaldo, Paulo Isidoro e Marcelo
di Vincenzo Paliotto
O rubo do Brasileirao

 Tuttavia, quella in prospettiva iberica fu soltanto l’ultima delle punizioni che il regime militare brasiliano riservò al Rei di Belo Horizonte. Reinaldo aveva, infatti, vissuto soltanto poche stagioni prima delle autentiche repressioni agonistiche da parte del regime. L’Atletico Mineiro  per due volte giunse ad un passo dalla vittoria nel massimo campionato nazionale e per due volte il titolo gli fu letteralmente depredato e negato. I mezzi utilizzati dalla CBF, la federcalcio brasiliana, e dai suoi mandanti si rivelarono addirittura grotteschi ed anche, nella loro evidente malafede, poco elaborati. La più clamorosa si registrò proprio nel 1977, una stagione in cui peraltro la dittatura organizzò un campionato con ben 62 squadre ai nastri di partenza, ovviamente distribuite in varie fasi e vari raggruppamenti. Il poco più che ventenne Rei stava guidando il suo Atletico Mineiro in una stagione strabiliante del Brasileirao. Reinaldo stava andando in gol con una media realizzativa straordinaria. Dal primo turno di campionato alle semifinali Reinaldo timbrò il cartellino dei marcatori praticamente per 28 volte in 18 occasioni, stritolando ogni record del torneo nazionale. Il Rei andò in gol nel primo turno contro il Remo, poi suggellò il suo momento magico con una cinquina rifilata al Fast e poi castigò tutte le grandi del calcio nazionale. Reinaldo decise quasi da solo anche la semifinale contro il Londrina, rifilando ai malcapitati avversari una sontuosa tripletta ed il Galo giunse ad ogni modo alla grande finale da imbattuto, in attesa di contendere il titolo al Sao Paulo, che nella sua semifinale aveva eliminato l’Operario. Ma la più clamorosa ed allo stesso tempo indecente  delle decisioni adottò in quel momento la CBF. La federcalcio auriverde, infatti, squalificò per la grande finale Reinaldo, facendogli scontare con un sistema di sanzioni disciplinari cervellotico un turno di squalifica che era un residuo della prima fase del campionato. Era chiaro l’intento della CBF di privare l’Atletico Mineiro del suo giocatore più importante, senza il quale i bianconeri avrebbero avuto una vita difficilissima al cospetto del Sao Paulo. Fu un modo indegno per bilanciare la grande assenza nelle file pauliste che corrispondeva al nome di Serginho Chalupa. Il regime, però, riuscì a raggiungere il suo intento, completando la sua opera affidando la direzione di gara a Cesar Coelho, che arbitrò nettamente in favore dei paulisti. Il tecnico del Sao Paulo Rubens Minelli, infatti, nei giorni che precedevano la gara riconobbe l’inferiorità della propria squadra rispetto agli avversari e puntava su una condotta di gara difensivista in attesa di approdare ai calci di rigore. Coelho codardamente acconsentì al gioco duro ed ostruzionistico del Sao Paulo, culminato nell’intervento da codice penale di Chicao, che comportò la rottura dei legamenti del brillante Angelo. La partita non si sbloccò da un pareggio a reti bianche con il nervosismo dell’Atletico ed il Sao Paulo finì per prevalere con i tiri dagli undici metri in un Mineirao gremito di oltre 100.000 spettatori. Il Sao Paulo vinse un titolo nazionale pur avendo perso  per ben 4 volte, mentre l’Atletico Mineiro fu vicecampione ma imbattuto, amara consolazione per la squadra decisamente più forte del Brasile.  Lo stesso cannoniere dell’Atletico molti anni più tardi in un’intervista (a Placar nel 2012) tornò nuovamente su quanto accadde in quei primi mesi del 1978 (anche se si trattava del titolo del ’77): “Nel ‘77, la dittatura fu esplicita. Fui expulso nella primea fase del campionato, ma mi fecero scontare quella squalifica, evitandomi di giocare la finale”.

Flamengo-Atletico Mineiro
Tuttavia, un altro titolo strameritato fu negato all’Atletico Mineiro nel 1980. O Galo si presentava ai nastri di partenza del massimo campionato più forte che mai. Oltretutto la squadra mineira avrebbe dominato il proprio estaduaìs per sei anni consecutivi dal 1978 al 1983, potendo disporre di un manipolo di giocatori eccezionali, come l’immenso Toninho Cerezo, Palinha, Nelinho, Joao Leite, Pedrinho ed un ragazzo dal tiro devastante come Eder Alexio, prelevato dall’America Belo Horizonte, altra storica e blasonata compagine della città. L’Atletico Mineiro di quegli anni giocava un calcio prettamente offensivo e rappresentava quasi un’espressione artistica. In molte esibizioni in campionato i bianconeri venivano disposti da Procopio Cardoso con uno speculare 4-2-4, un modulo che nessuno adottava all’epoca e che sarebbe rimasto in verità impensabile ancora per molti anni. L’Atletico Mineiro mise in riga gran parte delle titolate avversarie, viaggiando in maniera quasi spedita verso il titolo. Anche in semifinale il forte Internacional de Porto Alegre dell’astro nascente Falcao fu liquidato senza troppe incertezze. Nell’altra semifinale, invece, avanzava con grandi favori del pronostico il Flamengo di Rio de Janiero, il club màs querido (cioè il più amato) di tutto il Brasile, trascinato dai gol del nuovo Pelè, ma dalla pelle bianca, Zico. Nella partita di andata al Mineirao la contesa fu risolta ancora una volta da un gol di Reinaldo al 65’, ma tre giorni più tardi nel match del Maracanà la dittatura ci pensò a mettere l’arbitro giusto al posto giusto ed Assis de Aragao guidò la partita verso un successo per il Flamengo per 3-2, nonostante una doppietta di pregevole fattura del solito Reinaldo, che giocò contro le rudezze dei difensori del Mengao e contro l’impavido De Aragao. La federcalcio brasiliana era particolarmente abile nella scelta di certi arbitraggi ed anche poi a catapultarli successivamente in impensabili carriere internazionali. Reinaldo quel giorno nel gremito Maracanà si rivelò irriducibile e con due autentiche prodezze per due volte rimise in corsa la sua squadra per il titolo, ammutolendo lo stadio di Rio come al solito gremito, che ebbe la non edificante idea di beccarlo per quasi tutto l’incontro al grido di “bichado, bichado”, vale a dire “sporco”. Chico Buarque de Hollanda, un cantante che in Brasile è un’istituzione, ricorda così quel giorno di Reinaldo al Maracanà: “Nunca final de campeonato, Reinaldo na fez torcer pelo Atletico, no inicio da torcida do Flamengo”. Al Galo bastava anche il pareggio per diventare campione, ma De Aragao intorno al 70’, dopo il secondo capolavoro di Reinaldo, espulse ben tre giocatori dell’Atletico Miniero, tra cui proprio Reinaldo e l’altro attaccante Palinha, così all’82’ Nunes potè finalmente segnare il gol del 3-2, che per la prima volta laureava campione del Brasile il Mengao. Un titolo tanto celebrato dalla famosa squadra di Rio de Janeiro, ma che in Brasile ed in partciolare a Belo Horizonte chiamavano “O rubo”, cioè il furto, e mai definizione in tal caso fu così azzeccata e legittima. Oltretutto il Flamengo vinceva il Brasileirao aprofittando di un altro cervellotico regolamento, vale a dire di aver vinto la semifinale sia all’andata che al ritorno contro il Curitiba, in confronto al pareggio e alla vittoria ottenute dall’Atletico Mineiro contro l’Internacional Porto Alegre, squadra senza dubbio più quotata. De Aragao, invece, visse un prosieguo della carriera arbitrale degno delle migliori soddisfazioni e dei migliori riconoscimenti. Un giorno addirittura gli riuscì di essere il protagonista assoluto di una partita, dove nessun arbitro era mai arrivato prima e cioè di essere messo nel tabellino dei marcatori(!). Era il 9 ottobre del 1983 e si giocava il sentitissimo derby tra il Santos ed il Palmeiras con il Peixe in vantaggio per 2-1. Quasi allo scadere, però, De Aragao deviò in rete un tiro di Jorginho che stava terminando la sua corsa sul fondo. De Aragao, infatti, si era appostato sulla linea di fondo vicino al palo e vide il pallone tirato da Jorginho incocciare sul suo piede ed insaccasri nella porta del Santos. Inutile dire che le proteste furono vane, ma De Aragao rimase al suo posto ed anzi come premio gli fecero arbitrare un’altra finale del campionato brasiliano, quella del 1986, che pure sollevò indicibili polemiche tra il Guaranì di Campinas ed il Sao Paulo.

L’incredibile arbitraggio di Ricardo Wright

 Ma le ripercussioni nei confronti dell’Atletico Mineiro ancora non erano finite, anche se era difficile immaginare di cosa ancora dovesse essere depredata la squadra bianconera. Ma questa volta la repressione imposta dal governo calcitico brasiliano superò i confini nazionali per inquinare il corretto e leale svolgimento della prestigiosa Copa Libertadores. La CBF e la Conmebol furono chiamate a derimere una questione delicata tutta brasiliana, che si proiettava inevitabilmente nel continente e che chiamava in causa ancora una volta il Flamengo e l’Atletico Mineiro. Le due compagini brasiliane, infatti, nel proprio girone liquidarono facilmente le paraguayane Cerro Porteno ed Olimpia Asuncion, terminando il proprio raggruppamento con le stesso numero di punti. Oltretutto Atletico Mineiro e Flamengo nel confronto diretto impattarono due volte per 2-2. A Belo Horizonte Eder realizzò una doppietta, a cui replicarono Nunes e Marinho. Mentre a Rio Nunes e Tita, che ebbero risposta da Palinha e Reinaldo. Ad ogni modo, soltanto una delle due squadre poteva accedere alle semifinali e quindi si dispose uno spareggio da giocare a Goiania nell’impainto di Serra Dourada. Ma la cosa senza dubbio più clamorosa fu quella di assegnare la direzione del match a Josè Ricardo Wright, arbitro appartenente alla sezione arbitrale di Rio de Janeiro e che pertanto viaggiò alla volta di Goiania in compagnia della stessa squadra del Flamengo. Con queste premesse c’era poco da sperare per l’Atletico Minero e wright fece durare la gara di spareggio appena 37’. Vale a dire il tempo necessario per espellere ben 6 giocatori del Galo, che così non potè continuare il match per non avere a disposizione il numero necessario di giocatori per continuare l’incontro. La scintilla fu innescata da Reinaldo, il primo ad essere buttato fuori da Wright. Poi gli fecero compagnia Palinha, Toninho Cerezo, Eder e Chicao. Il Flamengo vinse platonicamente a tavolino quel match e viaggò verso la semifinale. In quell’anno tra l’altro i rossoneri vinsero per l’unica volta nella loro storia la Copa Libertadores.

 Ma Ricardo Wright non scontentò successivamente neanche gli altri cugini altrettanto famosi di Rio de Janeiro, quelli della Fluminense, impegnati nella finale del Campionato Carioca del 1985. La Flu trovò in finale il sorprendente Bangu, squadra di Rio ma molto meno blasonata. La Fluminense del resto era una squadra molto forte con il paraguayano Romerito che era la sua maggiore punta di diamante, accompagnata da altri interpreti di notevole valore come Washington ed Assis. Ma per battere il coriaceo Bangu ci volle l’aiuto di Ricardo Wright. Un aiuto talmente evidente da provocare l’aggressione al termine della partita del bichero Castor de Andrade. La direzione di gara di Wright mandò su tutte le furie i giocatori ed i dirigenti del Bangu.

 Ma ad un come Josè Ricardo Wright probabilmente non facevano paure le finali ed il suo caldo ambiente. Nel 1982, infatti, era stato al centro di un altro scandalo alquanto originale nella sua dinamica. Infatti, fu designato per arbitrare la finale della Taca Guanabara, la prima fase del campionato carioca, tra la Fluminense ed il Vasco da Gama ed, all’insaputa dei protagonisti in campo, arbitrò con installato addosso un microfono dell’emittente televisa Rede Globo. Un espediente che avrebbe dovuto garantire un’originalità mai provata prima ai telespettatori. Ma i calciatori della Flu e del Vasco non gradirono quella ch era una violazione della privacy e Ricardo Wright fu costretto a scontare 40 giorni di sospensione.

 Intanto nel 1985 Reinaldo chiudeva la sua prestigiosa carriera al centro dell’attacco dell’Atletico Mineiro per spendere le sue ultime cartucce in zona-gol con le maglie del Palmeiras, del Rio Negro e nientemeno che degli eterni rivali del Cruzeiro. Poi tra il 1987 ed il 1988 andò a divertirsi in Svezia e Olanda con le maglie di Hacken e Telstar, club minori del calcio nazionale, ma la storia e le vicisittudini del Rei rimarranno immortali, così come i torti subiti da parte della dittatura e della sua federcalcio.

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