venerdì 9 gennaio 2015

Russell Latapy, The Little Magician (2a parte)

di Vincenzo Lacerenza (www.calciofuorimoda.blogspot.com)

E' buio. Ma non sembra. Le luci della discoteca entrano dallo specchietto retrovisore. Quelle della volante abbagliano il conducente. Alla guida c'è Russell Latapy. Sul lato passeggero si distingue il profilo di Dwight Yorke. La paletta è levata, la condanna scritta. Squadrato dall'alto al basso Latapy non pare aver paura, ma forse non può nemmeno percepirla. Veste casual; i dreadlock, semmai fossero stati ordinati, adesso sono elettrizzati, scarmigliati. In testa solo il frastuono della musica. In corpo alcool, tanto, a fiumi. Yorke nemmeno scende. Forse dorme, forse finge di farlo. L'agente è perentorio. Due trinidadiani, due calciatori. Affermati e fermati. Dalla polizia. Quella di Lothonian. Prima i documenti, poi il palloncino. Inspira, respira, soffia, gonfia. E niente. Inspira, respira, soffia, gonfia. E ancora niente. Il fiato latita, eroso dall'alcool. Inspira, respira, soffia, gonfia. Il palloncino finalmente prende forma, cosi come l'unico ineludibile esito: guida in stato di ebrezza. L'alcool, è tanto, troppo: tre volte oltre il limite consentito. I giorni di Latapy all'Hibernian sono invechi pochi, anzi terminati. Si va alla centrale. Scartoffie, locali angusti, luci fioche, facce tutt'altro che rassicuranti. Firma di quà, firma di là. Poi il palloncino. Di nuovo, ancora, un'altra volta. Nuovo test, nuova positività. Si alla cauzione, no al rilascio del mezzo.
Si alla libertà, addio all'Hibernian. Mc Leish è furibondo. Non lo è stato quasi mai in carriera. Preso tra mille risulterebbe quasi sempre il più serafico. Ma non quella sera. Non ama la burocrazia, per questo ha poche regole. Ma su quelle non transige, non ammette eccessi. Crede nella professionalità dei suoi ragazzi. Se c'è una cosa che non tollera quella è l'ubriacarsi a meno di quarantottore dal match. Latapy lo ha fatto. Latapy è forte, funambolico, uno dei migliori calciatori della squadra. Non importa. Latapy è fuori. Ma non subito. I giornalisti premono, i tifosi sperano. Nel buon senso, nella grazia, nel perdono. Mc Leish ha già scelto : "Russell non si è comportato bene venerdì sera. Ha infranto una delle principali regole interne dello spogliatoio. Per questo motivo non posso schierarlo. Anche per rispetto dei suoi compagni".  Poi ancora: "Ci sono poche regole in questo club , ma vanno rispettate. Una di queste era il divieto di bere nelle quarantotto ore che precedono un match. E' un peccato che sia andata così. Latapy è un giocatore forte, ma nessuno è più grande di questo club". Apodittico, eloquente, definitivo. Addio finale di Fa Cup con il Celtic, addio Easter Road, addio Hibs. Non cambia nulla. Il contratto era comunque in scadenza. Latapy non avrebbe rinnovato. Questioni di modi, di eleganza, di happy ending.
Ad aspettarlo c'è Glasgow, a fare gli onori di casa c'è Dick Advocaat, ad abbracciarlo ci sono i Rangers. Due anni, la squadra gira, Latapy resta a guardare. Dalla tribuna, dalla panchina, se gli va bene da subentrante.  I trofei abbondano: al primo anno conquista Fa Cup e Coppa di Lega Scozzese. I sorrisi invece latitano, prima di eclissarsi del tutto con l'avvento della nuova stagione. Lascia il timone Advocaat, lo prende McLeish. Vecchi spettri, situazioni perturbanti, deja vù. Il collettivo continua ad andar bene, anzi va meglio: riesce ad inanellare una storica tripletta. Russel invece è sempre più giu, in caduta libera, lenta e costante. Tribuna, panchina e campo. Forse, di rado, una tantum. Cinque reti, ventitre presenze, due anni. E poi basta. Ibrox non è l'habitat ideale per crescere. Troppa pressione, troppe aspettative, troppe tensioni. Troppo stress. Se non fosse per il clima ricorderebbe per certi versi l'avventura di Oporto. Dundee, l'anno dopo, in proporzione temporale non corrisponde all'esperienza al Boavista. Scampoli di partite, minutaggio limitato, nemmeno un timbro sul cartellino. E' l'estate del  2003. Trentacinque anni. La parabola discendente, i morsi della vecchiaia, l'energie consumate, gli scatti esauriti. L'inizio della fine. Non per John Hughes.

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