mercoledì 2 gennaio 2019

Asian Cup. Vite di commissari tecnici nel continente

Srecko Katanec alla guida dell'Iraq
di Vincenzo Paliotto
 Cronologicamente nacque addirittura anche prima della Coppa Europa, la sua prima edizione risale infatti al 1956, ed anche prima della Coppa d’Africa, ma l’Asian Cup è un prodotto calcistico ancora non troppo conosciuto in ambito internazionale. Eppure la competizione è arrivata alla sua 17esima edizione e chiama ormai in causa un numero sempre maggiore di partecipanti. Dalle ex-repubbliche sovietiche all’Australia è un torneo per squadre nazionali con un vasto numero di partecipanti in lizza ed al contempo con il maggior numero di questioni politiche in sospeso.
 Si gioca dal 5 gennaio al 2 febbraio del 2019 in quattro città degli Emirati Arabi Uniti con 24 partecipanti, arrivate alla fase finale attraverso le qualificazioni a cui hanno preso parte 45 squadre, con non poche novità. Il Libano ed il Vietnam si sono qualificate per la prima volta da paesi non ospitanti, così come lo Yemen, che nel 1976 partecipò come Yemen del Sud. Qualificate invece per la prima volta in assoluto il Tagikistan, il Kyrgistazn e le Filippine.
 Ma le novità e le storie di maggior interesse legate alle sorti di queste competizioni scaturiscono in particolar modo dalla guide tecniche delle varie nazionali, in cui vanno ad intrecciarsi storie di vario genere, investimenti per certi versi insospettabili e carriere terminate in maniera forse troppo precoce nel calcio occidentale ed invece riprese dall’atra parte del mondo, dove il calcio vive la sua fase di lancio più intensa.
Vite italiane. C’è una bella fetta di calcio italiano nella prossima Asian Cup, a partire da Alberto Zaccheroni, chiamato alla guida degli Emirati Arabi Uniti da poche settimane. Il tecnico di Cesenatico, abile timoniere tra le altre di Venezia, Milan, ma anche Inter e Lazio, in realtà la Coppa d’Asia l’ha già vinta una volta e con precisione nel 2011 alla guida del Giappone. Zaccheroni era uscito in maniera traumatica da un traghettamento in casa juventina, dove aveva subito una cocente eliminazione in Coppa UEFA, uscendo per mano del Fulham a Craven Cottage. Poi il suo trasferimento nel giro di pochi mesi in Giappone e quindi la vittoria in finale a Doha nei tempi supplementari ai danni dell’Australia con punto decisivo di Lee. Ma sarà in buona, anzi in ottima compagnia a cominciare da Marcello Lippi, arrivato in Estremo Oriente a sua volta anche nel 2011, ma in Cina per guidare il Guangzhou Evergrande, la maggiore formazione del calcio cinese, portata anche alla vittoria in Champions League nel 2013. Alloro che gli valse un ingaggio milionario nel 2016 alla guida della nazionale cinese. Un bilancio al momento non proprio eccezionale, visto che Lippi ha mancato la qualificazione al Mondiale del 2018. Questa Coppa d’Asia è motivo di rilancio per il tecnico italiano, ancora comunque tanto stimato a Pechino. Un parterre arricchitosi, ad ogni modo, anche di un altro nome di notevole prestigio, come quello di Sven Goran Eriksson, che il 28 ottobre scorso ha firmato un contratto per guidare la squadra delle Filippine. Dan Palami, il boss del calcio locale lo ha scelto in luogo del connazionale Scott Cooper, andato negli USA. Il settantenne svedese era in procinto di andare sia in Iraq o in Camerun, ma poi ha accettato le offerte, a quanto pare convincenti, dei filippini. Ed in Asian Cup ci sarà anche Hector Cuper, alla guida dell’Uzbekistan già da quest’anno, giusto in tempo di ben figurare, dopo l’esperienza non proprio esaltante con l’Egitto ai Mondiali. L’eterno secondo Cuper ci riprova in una squadra nuova ed emergente, lui che ha girato tanto il mondo in attesa del tanto agognato successo. Il più atteso di tutti potrebbe essere però lo sloveno ed ex-sampdoriano Srecko Katanec, che a settembre ha accettato al guida tecnica dell’Iraq, dicendosi comunque estremamente entusiasta dell’incarico e della sua nuova esperienza in Medio Oriente.
Bernd Stange
Bernd Stange, le vite degli altri. La storia più curiosa e per certi versi coinvolgente potrebbe allacciarsi intorno al nome di Bernd Stange, che negli Anni Settanta ed Ottanta prese in carico la guida tecnica della rivelazione Carl Zeiss Jena in Oberliga, vincendo 2 titoli ed altrettante coppe nazionali, e poi della stessa nazionale maggiore della DDR. Stange figurava tra i tecnici più brillanti ed evoluti del calcio al di là del Muro. Nel 1992 ottenne un incarico dall’altra parte del Muro appunto alla guida dell’Hertha Berlino, ma silurato dopo poche partite non per un bilancio tecnico, ma a quanto pare per un suo passato nelle file della Stasi, la polizia politica di Berlino Est. Anzi ritrovarono negli archivi anche si il suo nome in codice di informatore. Tuttavia, Stange, nonostante tutto, ha continuato ad avere estimatori in ogni angolo del pianeta e nel 2002 andò a firmare un contratto con la federazione irachena, proprio nel momento in cui George W. Bush, alla guida del governo nordamericano, dichiarava guerra a Baghdad. Stange pretese nella firma del contratto tutele particolare per gli eventi bellici e che soprattutto non dovesse fare interviste di contenuto politico e sugli eventi della guerra stessa. Ma la sua permanenza a Baghdad non fu agevole per vari motivi. Una sua foto in compagnia del Ministro degli Esteri britannico Jack Straw scatenò quasi una caccia all’uomo nei suoi confronti, mentre una ulteriore fotografia con sullo sfondo l’immagine di Saddam Hussein gli comportò un boicottaggio della stampa e dell’opinione pubblica europea. Nel 2006 vinse, comunque, all’Apollon Limassol un titolo da imbattuto, dopo 12 anni di astinenza da parte del club. Poi alla guida della nazionale della Bielorussia si trovò sotto il rischio degli strascichi della dittatura di Lukashenko. Si era ormai ritirato dalle scene calcistiche, il suo ultimo incarico lo aveva terminato con la nazionale di Singapore, quando è arrivata la chiamata della federazione siriana per una nuova sfida. Imprese in condizioni ambientali particolari a cui Stange è decisamente abituato, considerato il clima non proprio pacifico che si respira dalle parti di Damasco.
Stephen Constantine
 Constantine, in panchina la vita è un giro del mondo. La guida tecnica che in qualche modo sa di una vera e propria impresa è però quella affidata all’India all’inglese Stephene Constantine, la cui vita calcistica è un romanzo o qualche cosa di più. Il Wall Street Journal una volta nel 2004 gli dedicò un articolo dal titolo inequivocabile: “The coach of lost causes”. E Constantine in tal proposito non ha tardato a scrivere un libro sulla sua particolare vita da allenatore dal titolo From Delhi to the Den, football’s most travelled manager. Ed in effetti il titolo rispecchia fedelmente il contenuto del libro. Nato a Londra nel 1962, ha allenato dal 1999 in poi: il Nepal, l’India, poi il Millwall, il Malawi, il Sudan, poi a Cipro l’Apep, il Nea Salamina, l’Ethnikos Achna e l’Apollon Smyrne, prima di trasferirsi nel 2014 in Rwanda. Dal 2015 è ritornato a Delhi per pilotare, forse con buone prospettive, l’India. Constantine guadagna 20.000 dollari al mese per il suo sapere calcistico ed una vita a dir poco stravagante. E’ sposato con tre figli e la sua famiglia si è stabilita a Cipro.

Arnold, Australia, Europa e ritorno. Ma ci sono anche storie di assoluta normalità in questa Asian Cup, come quella di Hajime Moriyasu alla guida del Giappone, squadra con cui nel 1992 da giocatore vinse il suo primo titolo continentale. Il Giapapone dal calcio da quel giorno è cresciuto in maniera esponenziale, quasi da sfiorare un risultato di clamore nell’ultima Coppa del Mondo, rimontando in maniera rocambolesca dal Belgio quando ormai il passaggio ai quarti di finale pareva cosa fatta. Ma una storia normale è anche quella di Graham Arnold sulla panchina dei detentori dell’Australia, incarico da egli stesso ricoperto già tra il 2006 e il 2007. Arnold era un attaccante del Sydney United che negli Anni Novanta ottenne consensi anche in Europa tra l’Olanda ed il Belgio, vestendo le maglie di Roda Kerkrade, FC Liegi, Charleroi e Nac Breda, arrivando a totalizzare 200 presenze e 71 gol. Poi il passaggio in Giappone al Sanfreece Hiroshima e quindi il ritorno in patria al Sydney. E’ comunque da sempre un uomo della federazione, avendo guidato anche la nazionale giovanile.
La missione di Carlos Queiroz. La missione più attesa è comunque quella di Carlos Queiroz, che guiderà ancora l’Iran dopo l’ottimo Mondiale in Russia del 2018. Il tecnico lusitano vanta il consenso della critica ed anche l’evidente crescita della sua nazionale. Anche se l’ex-tecnico del Real Madrid avrà il compito non facile di cancellare la dolorosa sconfitta all’Asian Cup del 2015 patita dai rivali di sempre dell’Iraq. Gli iracheni la spuntarono dagli undici metri, dopo una grande rimonta ed un pirotecnico 3-3 sul terreno di gioco. E’ questa una sfida che si sa di avere un valore particolare sia a Teheran che a Baghdad. Ma Queiroz è uno che a queste missioni ci è abituato e spera di fare bene così come il connazionale Paulo Bento, che invece ha assunto la guida della Corea del Sud, formazione tra le maggiori del calcio asiatico, ma che non vince la Coppa d’Asia addirittura dal 1960.
La cantera e non solo. Se il Qatar ospiterà i discussi Mondiali del 2022 è anche perché la federazione locale ha preferito guardare in prospettiva in più direzioni ed  infatti ha affidato la guida della nazionale ad un tecnico dal curriculum abbastanza particolare. Il barcellonese Felix Sanchez, infatti, è approdato a Doha direttamente dalla cantera del Barcellona, con cui per la verità è rimasto per oltre 10 anni. Un modo per portare in dote ai qatarioti un bagaglio di esperienze e tecnico di notevole valore. Il Qatar ha bisogno di ricostruire il proprio calcio e Sanchez potrebbe farlo indubbiamente al meglio. Non sarà l’unico spagnolo della rassegna continentale. Infatti, sulla panchina dell’Arabia Saudita siede Juan Antonio Pizzi, che ha giocato con Barca, Tenerife e Rosario Central e Spagna, e che ha allenato un po’ ovunque, prima di finire nel 2017 a Ryadh.
 Ma le storie sono ancora tante e svariate, come quella del giovane nordcoreano Kim Yong-jun, 35 anni e che giocò anche da semiprofessionista in Cina, come quella dell’olandese Pim Veerbek dell’Oman o di Radulovic, atteso da buoni risultati del Libano. Ha scelto lo Yemen, invece, Jan Kocian, pilastro slovacco del Dukla Banska Bystrica e poi del Sankt Pauli. Questa Coppa d’Asia avrà molto da raccontare.



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