mercoledì 7 novembre 2012

La storia del tifo in Italia-3 Idoli e tumulti


Frattese-Puteolana del 1948
Ovviamente con la diffusione in maniera sempre più capillare del calcio in Italia cresceva in modo esponenziale l’interesse dei tifosi e di conseguenza anche le loro intemperanze. Lo stadio, gli spalti erano diventati il luogo più naturale in cui confluivano le masse in maniera sempre più massiccia e spesso incontrollata. E soprattutto dal punto di vista delle idee che in questo caso il popolo italiano era in grado di esprimere. Il tifo sugli spalti avveniva nella maggior parte dei casi in maniera composta, ma non mancava mai chi inveiva anche in maniera abbastanza netta nei confronti del direttore di gara. Tuttavia, si comincia a diffondere, anche se in modo contenuto, il preconcetto della sudditanza psicologica e quindi di un certo atteggiamento condizionato della classe arbitrale nei confronti delle squadre più importanti del calcio italiano. Scomoda riflessione che pareva amplificarne i contenuti quando si affrontavano le squadre del Sud Italia, sempre arretrato ed economicamente più povero, con gli squadroni del Nord che comunque dominavano la scena calcistica italica. Il mese di giugno del 1931, ad esempio, non fu proprio da ricordare per il Napoli ed i suoi tifosi. Gli azzurri, infatti, impattarono tra le mura amiche del vecchio stadio del Vomero per 2-2 contro l’Inter, che nel frattempo era diventata Ambrosiana per le leggi del fascismo, nella grande dualismo tra Attila Sallustro ed il Peppin Mezza. I tifosi partenopei si distinsero per le numerose intemperanze all’indirizzo del direttore di gara bolognese Galeati. Per cui la Federazione squalificò il campo del Napoli, che andò a giocare a Salerno per affrontare il Milan. Ma neanche la gara interna con i rossoneri risultò fortunata, in quanto i meneghini in questo caso si imposero di misura con gol di Magnozzi e l’arbitro Melandri fu oggetto di molte critiche. Mentre nella gara successiva di fronte al Torino il comportamento dell’arbitro Bevilacqua provocò l’invasione di campo di alcuni sostenitori. Il Napoli perse dunque quella partita a tavolino ed il suo campo fu ulteriormente squalificato fino al 30 settembre di quell’anno.

 La sceneggiata di Stampacchia. Napoli era considerata un po’ l’epicentro delle intemperanze dei tifosi, ma anche in altri stadi d’Italia mancavano le teste calde. Qualcosa di particolare e pittoresco, comunque, si verificò a Salerno, ma sempre con protagonista il Napoli, nel maggio del 1945. L’attività calcistica nel periodo post-bellico si era fatta di difficile ripresa, ma la federazione aveva in qualche modo riorganizzato campionati soprattutto nell’ottica regionale. Pertanto il Napoli andò a giocare in quel di Salerno scortato da un buon numero di tifosi. Il derby regionale risultò particolarmente sentito sia in campo che sugli spalti con botte da orbi ed anche qualche sparo tra la folla. Le squadre pareggiarono per 1-1, ma il malcontento dei locali fu provocato dal direttore di gara che fischiò un rigore contro i granata, che però Mazzetti sbagliò. I conseguenti tumulti si placarono questa volta grazie all’intuito e ad una vera e propria sceneggiata dall’arbitro Stampacchia, che stramazzò al suolo fingendosi morto o quantomeno ferito. Nello spavento e nello sgomento generale si placarono le ire dei contendenti, fin quando poi si scoprì fortunatamente che il direttore di gara era vivo e vegeto. Ma anche in virtù di queste intemperanze nessun arbitro voleva correre il rischio di dirigere altre partite del campionato in particolar modo un agguerritissimo Scafatese-Stabia. Anche questo match però si sarebbe disputato di fronte ad un bellissima cornice di pubblico, con gli stabiesi che si imposero per 3-2 e vinsero il campionato. Con lo Stabia giocava anche Romeo Menti, che poi sarebbe diventato uno dei tanti fuoriclasse del Grande Torino.

 Idoli controluce. Nel frattempo gli doli ed i campioni della pedata si erano già instaurati in pianta stabile nella nostra società, mandano in delirio i tifosi, così come successe tra le altre a Milano sponda Inter con Meazza e a Napoli con Attila Sallustro, che proveniva dal Paraguay e fu poi naturalizzato italiano. Anzi se venivano dall’estero la loro popolarità sembrava aumentare in maniera ancora più sorprendente. E attraverso i loro campioni il calcio serviva sempre di più per acquisire consensi. Il calcio e la politica ed il potere economica interagivano in maniera sempre più netta ed incontrollata. I Presidenti delle squadre di calcio, ricchi mecenati, imponevano le loro regole. Regole che però potevano essere sempre disattese, così come non poche volte accadde. Agli inizi degli Anni Sessanta, ad esempio, Gigi Meroni, figura mitologica del calcio italiano che sarebbe poi morto ancora giovane a causa di un fatale incidente automobilistico, del Torino fece in modo di rifiutare il suo passaggio dall’altra parte della città nelle file della Juventus. Al tempo era per tutti difficile o quasi impossibile dire di no alla Juventus e agli Agnelli. Ma Meroni, amatissimo e personaggio senza dubbio all’avanguardia dei tempi, convinse i suoi tifosi ad inscenare una vera e propria protesta per mettere nelle condizioni la società granata di rifiutare i soldi della Juventus. Meroni alla Juve non andò per la gioia sua e dei suoi tifosi, che per una volta avevano imposto le loro regole.

 I tempi, comunque, sono ormai maturi e a cavallo tra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio degli Anni Settanta nasce la tifoseria organizzata con il sorgere dei primi gruppi ultras. Gli stadi italiani si riempiono di striscioni, di sigle, di sciarpe e di bandiere. Il calcio e gli spalti assumono una nuova fisionomia.

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