sabato 3 marzo 2012

Ivan Bogdanov ed il panorama ultras ad Est

Ultras Stella Rossa
di Vincenzo Paliotto

 Non più di due anni fa ha rappresentato il vero incubo nella notte calcistica degli italiani, ma anche di quella di molti dirigenti europei del pallone. Il 14 ottobre del 2010 per l’esattezza Ivan Bogdanov era riuscito ad impedire il regolare svolgimento della partita valida per le qualificazioni alla Coppa Europa tra Italia e Serbia allo Stadio Marassi di Genova.  A capo delle sue deljie, il famigerato gruppo ultras al seguito della Stella Rossa, aveva provocato disordini pesantissimi fuori e dentro lo stadio genovese, costringendo l’arbitro e le autorità ad annullare la partita. Non fu quella la prima e tantomeno l’ultima delle imprese di Ivan il Terribile. Infatti, qualche settimana fa il Tribunale di Belgrado ha condannato il capo ultrà serbo a 2 anni di reclusione per una mega-rissa risalente al 2006 tra i tifosi della Stella Rossa Belgrado ed il Partizan prima di un atteso incontro di basket.


Ultras Partizan
 Del resto il fenomeno ultras in Serbia e negli altri paesi dell’ex-Jugoslavia è dilagante e ben radicato. La caduta del comunismo ha generato delle spirali di nazionalismo pericolose che sfociano senza freni in un estremismo difficile da arginare. In questo angolo di Europa, che si affaccia sull’Occidente ed anticipa l’entrata negli altri paesi dell’est, nel calcio sfociano molte tensioni. Contrasti di natura politica, religiosa ed etnica. Il sanguinoso smembramento del paese ha purtroppo fatto conoscere al resto dell’Europa violenze dure e larghe repressioni che ancora oggi registrano strascichi pesanti. Non a caso tra i capi di accuse che pendono a carico dello stesso Bogdanov c’è anche quello di un assalto all’ambasciata americana di Belgrado nei giorni in cui gli States e gli altri paesi occidentali riconoscevano il distacco del Kosovo dalla Serbia.

Ultras Firma Vojvodina
 Le tifoserie della ex-Jugoslavia sono sempre state numerose, calde ed estremamente agguerrite. Non è un caso che a Spalato, dove da sempre calcisticamente regna l’Hajduk, sia nata la prima tifoseria organizzata d’Europa. Vienceslav Zuvela, infatti, fondò nel 1950 il gruppo della Torcida, con nome derivante dal tifo brasiliano. Proprio quell’anno in Brasile, infatti, si era giocata la Coppa del Mondo e da lì i croati ne presero ispirazione. Erano circa 113 studenti i primi aderenti al gruppo del tifo organizzato. Lo stesso Zuvela dopo qualche mese fu intercettato dalle autorità governative di Belgrado ed imprigionato. La sua “colpa” fu quella di aver aiutato con il suo tifo il club spalatino a battere nella partita decisiva per il titolo la Stella Rossa. Oltretutto il governo di Tito non vedeva di buon occhio la nascita di una tifoseria organizzata, come movimento difficile da controllare. Fortunatamente la sua condanna fu poi ridotta da tre anni a tre mesi di reclusione. Sul finire degli Anni Settanta, però, il fenomeno ultras finì per contagiare ulteriormente anche le altre città della regione e soprattutto Belgrado e Zagabria. Gli incidenti si verificavano in maniera sempre più frequente con rivalità che si estendevano a tutto il territorio nazionale. Si iniziò ad avere notizie dei primi incidenti sul finire degli Anni Settanta  tra le tifoserie che viaggiavano in trasferte pericolose ed in molti casi lontane. Nel 1978 una trasferta dei tifosi del Partizan a Spalato si concluse con molti feriti. I bianconeri belgradesi arrivarono quasi in 1.000, messi però in fuga dagli spalatini. Molte auto targate Belgrado finirono in mare negli scontri tra i tifosi. Fino ad arrivare al 13 maggio del 1990 quando i pesantissimi incidenti del Maksimir di Zagabria tra i sostenitori della Stella Rossa e della Dinamo, che addirittura misero le base per lo scoppio di un conflitto bellico di proporzioni enormi. Quel giorno la polizia serba fece poco o nulla per arginare gli scontri, anzi contribuì in maniera determinante alla degenerazione degli incidenti sugli spalti già cruenti. Divenne protagonista la tigre Arkan, a capo delle delije, e che ebbe un ruolo attivo anche nella guerra della ex-Jugoslavia.

 E’ difficile per le autorità e per le forze dell’ordine controllare e limitare il raggio d’azione del movimento ultras in Serbia e nelle altre regioni, anche perché questo quasi sempre raccogliere i malumori sociali e le tendenze politiche delle sue popolazioni. A Belgrado, dove l’elemento ultranazionalista oramai predomina incontrastato, la rivalità è altissima tra la Stella Rossa ed il Partizan. Quelli della Stella Rossa sono le summenzionate delije (gli eroi), quelli bianconeri del Partizan i grobari, cioè i becchini. Gli scontri tra le opposte fazioni sono violentissimi, ma entrambe le tifoserie odiano quelle principali croate, bosniache e se possibile anche slovene. Non è un caso che le tifoserie belgradesi, acerrime rivali in città, poi viaggiano sullo stesso treno alla volta di Spalato, Zagabria o Sarajevo. Dal marzo del 1992 alle vicende dell’ultimo scudetto vinto dal Partizan nel 2011 il derby belgradese ha registrato frequenti episodi di violenza. Basti pensare che l’8 ottobre del 2000 addirittura si è disputato il derby più veloce della storia del calcio, durato appena 38 secondi. Il tempo sufficiente che il Partizan andasse in gol e quindi da provocare l’invasione di campo di tutte e due le tifoserie. Per non parlare poi di episodi di intolleranza razziale, come ne fu oggetto il senegalese della Stella Rossa Guye oppure di quei giocatori che incautamente hanno avuto il coraggio di indossare entrambe le maglie dei club della capitale. Il portiere della nazionale Stojkovic ha giocato prima con la Stella Rossa e poi con il Partizan, pagandone a livello personale conseguenze durissime. Oltre le mura di Belgrado, un’altra tifoserie importante si fa onore in Serbia ed è la Firma, che sostengono la Vojvodina di Novi Sad, una delle squadre più antiche della regione nata nel 1914. Quella della Vojvodina è una tifoseria molto legata a Novi Sad e alla sua squadra. Del resto la Vojvodina ha patito duramente l’ingresso nel 1945 nelle gerarchie del calcio jugoslavo della Stella Rossa e del Partizan, club sostenuti dal comunismo e che hanno raccolto circa l’80% delle preferenze dei tifosi. Nonostante tutto la Vojvodina continua a mantenere la propria identità calcistica ed ultras.

 Cose che in verità accadono anche tra i croati. Hajduk e Dinamo Zagabria sono da sempre rivali, ma odiano allo stesso modo le più titolate di Belgrado. Quelli di Spalato sono capaci di boicottare anche la loro nazionale quando gioca nell’impianto cittadino del Poljud, in quanto sostengono che il governo accentra sempre di più il potere politico e calcistico verso Zagabria. L’8 febbraio le due tifoserie si scontrarono duramente a Siroki Brijeg, in territorio bosniaco, nel corso di un torneo amichevole. Alla Torcida spalatina rispondono i Bad Blue Boys di Zagabria, gruppo nato nel 1985 prendendo il nome dal film di Sean Penn Bad Boys appunto.

La situazione rimane abbastanza incandescente anche in Bosnia, intorno alle tifoserie organizzate del Sarajevo e dello Zeljeznicar nella capitale e a quelle dello Zriniskj e del Velez a Mostar. Emblematico è il caso dello Zriniskj, squadra tornata in auge soltanto da qualche decennio, dal 1992 per l’esattezza, pur essendo nata nel 1905. Infatti, il governo di Tito lo aveva cancellato dalla mappa calcistica nazionale, bandendo il suo nome dai campionati jugoslavi per ben 47 anni. La squadra di Mostar, infatti, aveva origini di destra ed acquisiva il nome di una grande famiglia della città. Attualmente le gerarchie si sono capovolte. Lo Zriniskj è la squadra leader della regione, capace di sfrattare i cugini del Velez (compagine palesemente legata alle istituzioni comuniste) anche dal loro storico campo il Bielj Brieg. Anche se in città resistente strenuamente il gruppo della Red Army Mostar a sostegno del Velez.

 In Slovenia, invece, il movimento ultras si concentra intorno alle compagini storiche del Maribor Branik e dell’Olimpja Lublijana, divise da una grande rivalità. Oltretutto sono le due uniche squadre del paese ad aver giocato anche nel massimo campionato jugoslavo. Anche qui le sfide sono senza esclusioni di colpi. Nel 2010 un esponente dei Green Dragons, il maggior grippo ultra dell’Oljmpia, è morto nel corso di scontri con i sostenitori del Maribor.

 Nella ex-Jugoslavia il calcio rimane una cosa tremendamente seria, in cui confluiscono tensioni e tendenze politiche e sociali determinanti nella vita dei nuovi stati che si sono creati dal suo smembramento. In questa regione il fenomeno ultras ha attecchito in maniera decisa e profonda nel tessuto sociale.

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