Gigi Meroni |
Quanto fascino può raccontare il derby di Torino, tra due squadre entrate di prepotenza e da diverse prospettive nella leggenda del calcio italiano e mondiale. Sarà difficile, ad ogni modo, dimenticare 90 minuti così. E lo sarà difficile allo stesso tempo per la squadra che vinse (il Toro), ma anche per quella che perse (la Juve). Il 22 ottobre del 1967 il Torino si impose al Comunale per 4-0 in un derby ai danni della Juventus, tra l’altro Campione d’Italia in carica e con Heriberto Herrera in panchina. Fu un trionfo autentico, ma tra le lacrime. Qualche giorno prima, infatti, era scomparso l’astro nascente del Torino, il 24enne Gigi Meroni, amato da tutti anche dagli juventini. Dopo la partita vinta in casa ai danni della Sampdoria, l’idolo granata fu investito in pieno centro a Torino e perse la vita in seguito ad un violento impatto con un’auto, guidata dal 19enne Attilio Romero, poi diventato anche Presidente del Toro nel 2000. Una morte provocata da un’assoluta ed incredibile fatalità. Meroni perse la vita così a Torino in quello che era stato un giorno di gloria.
La tragedia scosse tutta la città di Torino,
anche quella bianconera, in quanto il valore della rivalità calcistica si
conteneva ancora in una grande civiltà e su nutriva un grande rispetto per
l’avversario, soprattutto per uno come Meroni, fuoriclasse autentico e genuino,
che amava il gioco del calcio ed amava idee proprie, forti e giovani, con il
“torto” di essere fuori dalla regole ipocrite e convenzionali della società
civile dell’epoca. La Juve voleva strapparlo proprio ai cugini del Torino con
un contratto sontuoso, una cifra da capogiro per il suo acquisto che si
aggirava intorno ai 750 milioni di lire, ma i tifosi granata scesero in piazza
per lui e ne impedirono la cessione: “Gigi non si tocca!!”. Oltretutto la maggior parte della classe
operaia granata lavorava proprio negli stabilimenti della FIAT. E piuttosto che
vedere sabotata la produzione delle proprie automobili Agnelli decise di
lasciare Meroni lì dove era, in maglia granata. Anche perché i soldi che
Agnelli voleva scucire per un giocatore mal si coniugavano con la cassa
integrazione invece indetta per alcuni suoi operai. Il popolo granata lo
amava ed aveva ragione di farlo. Più di 20.000 persone parteciparono ai suoi
funerali, e il lutto scosse la città. Dal carcere delle Nuove di Torino alcuni
detenuti raccolsero soldi per mandare fiori. La stampa sembrò per un attimo
perdonare la bizzarria contestata in vita (i capelli lunghi, la barba incolta),
ma la Chiesa cattolica si oppose al funerale e criticò aspramente don Francesco
Ferraudo, cappellano del Torino calcio, per aver celebrato il funerale di
un "peccatore pubblico" con riti religiosi. Meroni, infatti,
conviveva in una mansarda di corso Re Umberto a Torino con la sua ragazza di
origine polacca, Cristiana Uderstadt, che all'epoca era ancora ufficialmente la
moglie (anche se in attesa di annullamento del matrimonio) di un noto regista
cinematografico romano. .
La sua biografia più bella fu scritta da Nando Dalla Chiesa con il titolo La farfalla granata. Una storyboard che
ha ispirato anche una serie televisiva a lui dedicata dal palinsesto della Rai.
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