Frattese-Puteolana del 1948 |
Ovviamente
con la diffusione in maniera sempre più capillare del calcio in Italia cresceva
in modo esponenziale l’interesse dei tifosi e di conseguenza anche le loro
intemperanze. Lo stadio, gli spalti erano diventati il luogo più naturale in
cui confluivano le masse in maniera sempre più massiccia e spesso
incontrollata. E soprattutto dal punto di vista delle idee che in questo caso
il popolo italiano era in grado di esprimere. Il tifo sugli spalti avveniva
nella maggior parte dei casi in maniera composta, ma non mancava mai chi
inveiva anche in maniera abbastanza netta nei confronti del direttore di gara. Tuttavia,
si comincia a diffondere, anche se in modo contenuto, il preconcetto della
sudditanza psicologica e quindi di un certo atteggiamento condizionato della
classe arbitrale nei confronti delle squadre più importanti del calcio
italiano. Scomoda riflessione che pareva amplificarne i contenuti quando si
affrontavano le squadre del Sud Italia, sempre arretrato ed economicamente più
povero, con gli squadroni del Nord che comunque dominavano la scena calcistica
italica. Il mese di giugno del 1931, ad esempio, non fu proprio da ricordare
per il Napoli ed i suoi tifosi. Gli azzurri, infatti, impattarono tra le mura
amiche del vecchio stadio del Vomero per 2-2 contro l’Inter, che nel frattempo
era diventata Ambrosiana per le leggi del fascismo, nella grande dualismo tra
Attila Sallustro ed il Peppin Mezza. I tifosi partenopei si distinsero per le
numerose intemperanze all’indirizzo del direttore di gara bolognese Galeati.
Per cui la Federazione squalificò il campo del Napoli, che andò a giocare a
Salerno per affrontare il Milan. Ma neanche la gara interna con i rossoneri
risultò fortunata, in quanto i meneghini in questo caso si imposero di misura
con gol di Magnozzi e l’arbitro Melandri fu oggetto di molte critiche. Mentre
nella gara successiva di fronte al Torino il comportamento dell’arbitro
Bevilacqua provocò l’invasione di campo di alcuni sostenitori. Il Napoli perse
dunque quella partita a tavolino ed il suo campo fu ulteriormente squalificato
fino al 30 settembre di quell’anno.
La
sceneggiata di Stampacchia. Napoli era considerata un po’ l’epicentro delle
intemperanze dei tifosi, ma anche in altri stadi d’Italia mancavano le teste
calde. Qualcosa di particolare e pittoresco, comunque, si verificò a Salerno,
ma sempre con protagonista il Napoli, nel maggio del 1945. L’attività
calcistica nel periodo post-bellico si era fatta di difficile ripresa, ma la
federazione aveva in qualche modo riorganizzato campionati soprattutto
nell’ottica regionale. Pertanto il Napoli andò a giocare in quel di Salerno
scortato da un buon numero di tifosi. Il derby regionale risultò
particolarmente sentito sia in campo che sugli spalti con botte da orbi ed
anche qualche sparo tra la folla. Le squadre pareggiarono per 1-1, ma il
malcontento dei locali fu provocato dal direttore di gara che fischiò un rigore
contro i granata, che però Mazzetti sbagliò. I conseguenti tumulti si placarono
questa volta grazie all’intuito e ad una vera e propria sceneggiata
dall’arbitro Stampacchia, che stramazzò al suolo fingendosi morto o quantomeno
ferito. Nello spavento e nello sgomento generale si placarono le ire dei
contendenti, fin quando poi si scoprì fortunatamente che il direttore di gara
era vivo e vegeto. Ma anche in virtù di queste intemperanze nessun arbitro
voleva correre il rischio di dirigere altre partite del campionato in
particolar modo un agguerritissimo Scafatese-Stabia. Anche questo match però si
sarebbe disputato di fronte ad un bellissima cornice di pubblico, con gli
stabiesi che si imposero per 3-2 e vinsero il campionato. Con lo Stabia giocava
anche Romeo Menti, che poi sarebbe diventato uno dei tanti fuoriclasse del
Grande Torino.
Idoli controluce. Nel frattempo gli doli ed i campioni
della pedata si erano già instaurati in pianta stabile nella nostra società,
mandano in delirio i tifosi, così come successe tra le altre a Milano sponda
Inter con Meazza e a Napoli con Attila Sallustro, che proveniva dal Paraguay e
fu poi naturalizzato italiano. Anzi se venivano dall’estero la loro popolarità
sembrava aumentare in maniera ancora più sorprendente. E attraverso i loro
campioni il calcio serviva sempre di più per acquisire consensi. Il calcio e la
politica ed il potere economica interagivano in maniera sempre più netta ed
incontrollata. I Presidenti delle squadre di calcio, ricchi mecenati,
imponevano le loro regole. Regole che però potevano essere sempre disattese,
così come non poche volte accadde. Agli inizi degli Anni Sessanta, ad esempio,
Gigi Meroni, figura mitologica del calcio italiano che sarebbe poi morto ancora
giovane a causa di un fatale incidente automobilistico, del Torino fece in modo
di rifiutare il suo passaggio dall’altra parte della città nelle file della
Juventus. Al tempo era per tutti difficile o quasi impossibile dire di no alla
Juventus e agli Agnelli. Ma Meroni, amatissimo e personaggio senza dubbio
all’avanguardia dei tempi, convinse i suoi tifosi ad inscenare una vera e
propria protesta per mettere nelle condizioni la società granata di rifiutare i
soldi della Juventus. Meroni alla Juve non andò per la gioia sua e dei suoi
tifosi, che per una volta avevano imposto le loro regole.
I tempi, comunque, sono ormai maturi e a
cavallo tra la fine degli Anni Sessanta e l’inizio degli Anni Settanta nasce la
tifoseria organizzata con il sorgere dei primi gruppi ultras. Gli stadi
italiani si riempiono di striscioni, di sigle, di sciarpe e di bandiere. Il
calcio e gli spalti assumono una nuova fisionomia.
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