lunedì 15 ottobre 2012

Storia del tifo in Italia- Augusto Morganti, una morte dimenticata


Una morte dimenticata. Che il calcio in Italia fosse diventato da subito una cosa seria era facilmente intuibile. Il campionato di calcio, seppur non ancora a girone unico, era diventato sempre più competitivo ed ambito. Il 2 maggio del 1920 però purtroppo si registrò anche il primo morto in un campo di calcio italiano. Perse la vita a Viareggio, infatti, nel corso di un derby contro la Lucchese Augusto Morganti, un episodio talmente tragico nella sua dinamica e nel suo contesto tale da comportare un’autentica rivolta politica e popolare nella città versiliana. Il Viareggio aveva perso nettamente una partita in quel di Lucca, ma i sostenitori bianconeri ben pensarono di tenere uguale trattamento per i cugini nella partita di ritorno, che peraltro fu sconsigliata e seguita da pochi tifosi lucchesi. Qualcosa però andò storto nel finale di una gara arbitrata dal lucchese Rossini ed Augusto Morganti (ex-ufficiale di complemento), che quel giorno si era prestato a fare il guardalinee, erano ancora lontani i tempi delle terne arbitrali, fu raggiunto nel concitato finale di partita da un proiettile esploso dal carabiniere Natale De Carli. A Villa Rigutti, sede della partita, si verificarono incidenti abbastanza pesanti. I carabinieri faticosamente riuscirono a portare in salvo la Lucchese ed i suoi pochi tifosi al seguito. La città di Viareggio non contenne la rabbia dei suoi tifosi e di tutta la sua cittadinanza. Fu ingaggiata una vera e propria guerriglia urbana nei confronti del contingente dei carabinieri di stanza in città, che le stesse forze dell’ordine faticarono a contenere. Anzi le stesse istituzioni viareggine chiesero aiuti a Lucca per un ulteriore invio di uomini armati. Viareggio passò alla storia per le sue famose “giornate rosse”, in quanto ristabilire la normalità in città non divenne cosa semplice. Nel giorno dei funerali arrivarono gruppi di anarchici da tutta la Versilia e persino da Pisa e da Livorno. Anche il Presidente del Consiglio Nitti guardò all’episodio con doverosa preoccupazione, temendo addirittura infiltrazioni di sovversivi stranieri nelle fila dei rivoltosi toscani. Invece quella di Viareggio si proclamò come una rivolta spontanea e popolare senza capi e senza regie occulte. Ad ogni modo, il 13 ottobre del 1921 Natale De Carli fu processato dal Tribunale Militare di Firenze, dove fu assolto per “avere agito per legittima difesa”, con una sentenza che sconfessò la prima ricostruzione dell’incidente trasmessa al Ministero dell’Interno in data 10 maggio dove si può leggere proprio che: “trattasi di episodio isolato senza conflitto fra popolazione e carabinieri e rimane esclusa provocazione e legittima difesa”. Oltretutto lo stesso carabiniere fu rimborsato di ben 1.200 lire che aveva tirato fuori per le spese legali del suo Avvocato Villella di Firenze. Il tutto era stato originato clamorosamente da una partita di calcio. Ma quella di Augusto Morganti si sarebbe ben presto presentata come la prima morte dimenticata su un campo di calcio in Italia. Il giornalista Maurizio Martucci fu uno dei primi a rievocarla nella letteratura sportiva nel suo Cuori Tifosi.

 Colpi di rivoltella. Tuttavia, l’Italia viveva un momento politico e sociale molto particolare, in cui si incastonò l’avvento del ventennio fascista, che avrebbe scritto pagine indelebili, nel bene e nel male, della storia del nostro paese. Oltretutto lo stesso fascismo non si dimostrò disinteressato nei confronti dello sport in generale ed in particolare soprattutto del mondo del calcio. Benito Mussolini ebbe anche la tessera della Lazio, ma in realtà il suo rapporto con il calcio fu poco morboso, anzi quasi mai vero e deciso. Anche in occasione della Coppa Rimet del 1934 in Italia la sua presenza fu puramente di circostanza, ma poco interessata al calcio giocato. Ma interessi ben più evidenti nutrirono invece la gran parte dei suoi luogotenenti, che si infiltrarono nell’apparato calcistico in modo non del tutto casuale, ma anzi con i chiari intento di riscrivere le regole del calcio. Non a caso tutte le squadre che avevano nomi mutuati dalla tradizione anglosassone furono rivisti ed il Milan infatti divenne Milano ed il Genoa Genova. Mentre ovviamente il nome di Internazionale era impresentabile ed improponibile per ovvi motivo politici e la Beneamata prese a chiamarsi come Ambrosiana-Inter, giusto per allontanare qualsiasi infondata comunque collusione con il bolscevismo. Ma c’era di più, perché tanti camerata si insediarono ai vertici del calcio e delle squadre più o meno importanti. E qualcosa successe nella grande finale per lo Scudetto del 1925, che si contesero il Genoa ed il Bologna, grandi squadre dell’epoca e grandi rivali. I liguri nel proprio girone avevano avuto la meglio con un punto di vantaggio sul Modena, il Bologna aveva invece preceduto la Pro Vercelli. La finalissima comunque iniziò il 24 maggio e finì soltanto il 9 agosto, in quanto occorsero ben 5 gare di spareggio per decretare la vincente in un mare di polemiche. Nella prima partita a Bologna si affermò il Genoa per 2-1, ma in Liguria i felsinei restituirono lo sgarbo imponendosi con il medesimo punteggio. Allora si andò a giocare la “bella” a Milano, che dopo i tempi supplementari si chiuse sul 2-2, dopo che il Genoa era andato in vantaggio di due gol. A luglio allora le due squadre si danno appuntamento a Torino, tra interferenze di regime e molte polemiche sugli arbitraggi. Anche a Torino però finisce 1-1 con gol di Schiavio e Catto, ma alla stazione ferroviaria di Porto Nuova scoppiano gravi incidenti tra le opposte tifoserie. Addirittura si contano due feriti nelle file dei genovesi per colpi di arma da fuoco. Ma le accuse ovviamente rimbalzano da entrambi i fronti. Il Genoa accusa quelli del Bologna e viceversa. La federazione allora si affida ad una decisione inderogabile e fissa la quinta partita di spareggio per il 9 agosto a Milano, al campo delle Officine Meccaniche, a porte chiuse e alle 7 del mattino, in maniera tale che nessuno delle opposte tifoserie potesse andare a seguire quella partita. Il Bologna nel silenzio irreale degli spalti si impose per 2-0, con reti di Perin e Pozzi e conquistò virtualmente il titolo di Campione d’Italia. Infatti, doveva superare la squadra Campione del Sud Italia, che risultò essere l’Alba Roma ai danni dell’Anconitana. Ma al tempo il divario tra le squadre del nord e del sud del paese era abbastanza netto, per cui la squadra nordista prevalse sempre nella vittoria finale.

 Il calcio era diventato una cosa seria, terribilmente importante per il nostro paese. E la febbre del tifo cresceva vertiginosamente, così come gli interessi del potere erano sempre più rimarcati verso il pallone di cuoio. Leandro Arpinati, un fedelissimo del Duce, notoriamente tifoso del Bologna contribuì all’ascesa calcistica della sua squadra del cuore. Anche se poi lo stesso Arpinati divenne Presidente della FIGC, avendo un ruolo decisivo per l’organizzazione della Coppa del Mondo in Italia.

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