Una morte dimenticata. Che il calcio in Italia fosse diventato
da subito una cosa seria era facilmente intuibile. Il campionato di calcio,
seppur non ancora a girone unico, era diventato sempre più competitivo ed
ambito. Il 2 maggio del 1920 però purtroppo si registrò anche il primo morto in
un campo di calcio italiano. Perse la vita a Viareggio, infatti, nel corso di
un derby contro la Lucchese Augusto Morganti, un episodio talmente tragico
nella sua dinamica e nel suo contesto tale da comportare un’autentica rivolta
politica e popolare nella città versiliana. Il Viareggio aveva perso nettamente
una partita in quel di Lucca, ma i sostenitori bianconeri ben pensarono di
tenere uguale trattamento per i cugini nella partita di ritorno, che peraltro
fu sconsigliata e seguita da pochi tifosi lucchesi. Qualcosa però andò storto
nel finale di una gara arbitrata dal lucchese Rossini ed Augusto Morganti
(ex-ufficiale di complemento), che quel giorno si era prestato a fare il
guardalinee, erano ancora lontani i tempi delle terne arbitrali, fu raggiunto
nel concitato finale di partita da un proiettile esploso dal carabiniere Natale
De Carli. A Villa Rigutti, sede della partita, si verificarono incidenti
abbastanza pesanti. I carabinieri faticosamente riuscirono a portare in salvo
la Lucchese ed i suoi pochi tifosi al seguito. La città di Viareggio non
contenne la rabbia dei suoi tifosi e di tutta la sua cittadinanza. Fu
ingaggiata una vera e propria guerriglia urbana nei confronti del contingente
dei carabinieri di stanza in città, che le stesse forze dell’ordine faticarono
a contenere. Anzi le stesse istituzioni viareggine chiesero aiuti a Lucca per
un ulteriore invio di uomini armati. Viareggio passò alla storia per le sue
famose “giornate rosse”, in quanto ristabilire la normalità in città non
divenne cosa semplice. Nel giorno dei funerali arrivarono gruppi di anarchici
da tutta la Versilia e persino da Pisa e da Livorno. Anche il Presidente del
Consiglio Nitti guardò all’episodio con doverosa preoccupazione, temendo
addirittura infiltrazioni di sovversivi stranieri nelle fila dei rivoltosi
toscani. Invece quella di Viareggio si proclamò come una rivolta spontanea e
popolare senza capi e senza regie occulte. Ad ogni modo, il 13 ottobre del
1921 Natale De Carli fu processato dal Tribunale Militare di Firenze, dove fu
assolto per “avere agito per legittima
difesa”, con una sentenza che sconfessò la prima ricostruzione
dell’incidente trasmessa al Ministero dell’Interno in data 10 maggio dove si
può leggere proprio che: “trattasi di
episodio isolato senza conflitto fra popolazione e carabinieri e rimane esclusa
provocazione e legittima difesa”.
Oltretutto lo stesso carabiniere fu rimborsato di ben 1.200 lire che aveva
tirato fuori per le spese legali del suo Avvocato Villella di Firenze. Il tutto
era stato originato clamorosamente da una partita di calcio. Ma quella di
Augusto Morganti si sarebbe ben presto presentata come la prima morte
dimenticata su un campo di calcio in Italia. Il giornalista Maurizio Martucci
fu uno dei primi a rievocarla nella letteratura sportiva nel suo Cuori Tifosi.
Colpi di rivoltella. Tuttavia, l’Italia viveva un momento
politico e sociale molto particolare, in cui si incastonò l’avvento del
ventennio fascista, che avrebbe scritto pagine indelebili, nel bene e nel male,
della storia del nostro paese. Oltretutto lo stesso fascismo non si dimostrò
disinteressato nei confronti dello sport in generale ed in particolare
soprattutto del mondo del calcio. Benito Mussolini ebbe anche la tessera della
Lazio, ma in realtà il suo rapporto con il calcio fu poco morboso, anzi quasi
mai vero e deciso. Anche in occasione della Coppa Rimet del 1934 in Italia la
sua presenza fu puramente di circostanza, ma poco interessata al calcio
giocato. Ma interessi ben più evidenti nutrirono invece la gran parte dei suoi
luogotenenti, che si infiltrarono nell’apparato calcistico in modo non del
tutto casuale, ma anzi con i chiari intento di riscrivere le regole del calcio.
Non a caso tutte le squadre che avevano nomi mutuati dalla tradizione anglosassone
furono rivisti ed il Milan infatti divenne Milano ed il Genoa Genova. Mentre
ovviamente il nome di Internazionale era impresentabile ed improponibile per
ovvi motivo politici e la Beneamata prese a chiamarsi come Ambrosiana-Inter,
giusto per allontanare qualsiasi infondata comunque collusione con il
bolscevismo. Ma c’era di più, perché tanti camerata si insediarono ai vertici
del calcio e delle squadre più o meno importanti. E qualcosa successe nella
grande finale per lo Scudetto del 1925, che si contesero il Genoa ed il
Bologna, grandi squadre dell’epoca e grandi rivali. I liguri nel proprio girone
avevano avuto la meglio con un punto di vantaggio sul Modena, il Bologna aveva
invece preceduto la Pro Vercelli. La finalissima comunque iniziò il 24 maggio e
finì soltanto il 9 agosto, in quanto occorsero ben 5 gare di spareggio per
decretare la vincente in un mare di polemiche. Nella prima partita a Bologna si
affermò il Genoa per 2-1, ma in Liguria i felsinei restituirono lo sgarbo
imponendosi con il medesimo punteggio. Allora si andò a giocare la “bella” a
Milano, che dopo i tempi supplementari si chiuse sul 2-2, dopo che il Genoa era
andato in vantaggio di due gol. A luglio allora le due squadre si danno
appuntamento a Torino, tra interferenze di regime e molte polemiche sugli
arbitraggi. Anche a Torino però finisce 1-1 con gol di Schiavio e Catto, ma
alla stazione ferroviaria di Porto Nuova scoppiano gravi incidenti tra le
opposte tifoserie. Addirittura si contano due feriti nelle file dei genovesi
per colpi di arma da fuoco. Ma le accuse ovviamente rimbalzano da entrambi i
fronti. Il Genoa accusa quelli del Bologna e viceversa. La federazione allora
si affida ad una decisione inderogabile e fissa la quinta partita di spareggio
per il 9 agosto a Milano, al campo delle Officine Meccaniche, a porte chiuse e
alle 7 del mattino, in maniera tale che nessuno delle opposte tifoserie potesse
andare a seguire quella partita. Il Bologna nel silenzio irreale degli spalti
si impose per 2-0, con reti di Perin e Pozzi e conquistò virtualmente il titolo
di Campione d’Italia. Infatti, doveva superare la squadra Campione del Sud
Italia, che risultò essere l’Alba Roma ai danni dell’Anconitana. Ma al tempo il
divario tra le squadre del nord e del sud del paese era abbastanza netto, per
cui la squadra nordista prevalse sempre nella vittoria finale.
Il calcio era diventato una cosa seria,
terribilmente importante per il nostro paese. E la febbre del tifo cresceva
vertiginosamente, così come gli interessi del potere erano sempre più rimarcati
verso il pallone di cuoio. Leandro Arpinati, un fedelissimo del Duce,
notoriamente tifoso del Bologna contribuì all’ascesa calcistica della sua
squadra del cuore. Anche se poi lo stesso Arpinati divenne Presidente della
FIGC, avendo un ruolo decisivo per l’organizzazione della Coppa del Mondo in
Italia.
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