di Vincenzo
Paliotto (tratto da Fan’s Magazine n.
269)
Plaitano ucciso da un
proiettile vagante. Il
28 aprile del 1963 si rivelò una giornata particolarmente sfortunata e funesta
per la storia del calcio italiano e per quella dei suoi tifosi. A molti anni di
distanza dalla scomparsa di Augusto Morganti in quel di Viareggio, infatti, un
nuovo morto si registrò in uno stadio di calcio della nostra penisola. In
quella domenica di aprile, infatti, perse la vita allo Stadio Donato Vestuti di
Salerno Giuseppe Plaitano, 48enne ex-maresciallo della Marina Italiana. Nel
vecchio impianto cittadino del capoluogo salernitano si giocava un’attesa
partita tra la formazione di casa ed il Potenza il cui esito avrebbe stabilito
quasi sicuramente la squadra che sarebbe approdata in Serie B. Il match si
caricò probabilmente troppo nelle attese e la grande folla di pubblico
oltretutto quasi non era contenuta dagli spalti dello stadio costruito nel
1932. Al 42’ i lucani passarono anche in vantaggio con Rosito, con un gol in
sospetto fuorigioco che poi in realtà non c’era. Tuttavia, ad un quarto d’ora
dal termine il granata Gigante subì un presunto fallo da rigore che l’arbitro
alessandrino Gandiolo però non ravvisò tra le proteste generali. Un solitario
invasore di campo si catapultò sul terreno di gioco rincorrendo l’arbitro, ma
una volta acciuffato dalle forze dell’ordine fu duramente manganellato dai
Carabinieri. Altri tifosi della Salernitana a quel punto invasero il terreno di
gioco per andare in soccorso del loro compagno. Il terreno del Vestuti divenne
un campo di battaglia che contò oltre 200 feriti (ma soltanto in 50 si fecero
refertare) ed un morto, il povero Giuseppe Plaitano, colpito alla tempia da un
proiettile vagante, mentre era sugli spalti ad assistere alla confusione che
regnava in mezzo al campo. Gli incidenti proseguirono anche all’esterno dello
stadio con molti feriti e danneggiamenti e con la squadra del Potenza
asserragliata negli spogliatoi per quasi sette ore. Plaitano intanto era morto
ed anche in quel caso le responsabilità furono offuscate e gettate
impietosamente nel dimenticatoio. Gandiolo escluse le sue responsabilità in
merito all’accaduto, così come le forse dell’ordine non riuscirono a fare
chiarezza sulla morte di Plaitano, che stava assistendo alla partita e che non
aveva fatto neanche invasione di campo. Lasciò una moglie e quattro figli. Gli venne
dedicato uno del club della Salernitana più famosi.
L’invasione del San Paolo. Non fu
quella comunque una domenica felice per tutto il calcio campano, in quanto ad
una cinquantina di kilometri di distanza da Salerno e cioè a Napoli quel
pomeriggio anche si registrarono pesanti incidenti. Il Napoli infatti perse
largamente tra le mura amiche al cospetto del Modena ed i tifosi partenopei si
rovesciarono sul terreno di gioco, distruggendo tutto o quasi. La giacchetta
nera Campanati anche ne aveva combinato di tutti i colori, concedendo un gol
irregolare di Bruells ai canarini modenesi e negando un netto calcio di rigore
al Napoli. Circa 300 tifosi partenopei provocarono 120 milioni di danni al San
Paolo, anche perché sfuggiti al controllo delle esigue forze dell’ordine. Quel
giorno, infatti, si teneva anche una tornata di elezioni politiche e quindi
poliziotti e carabinieri mal presenziarono gli stadi. I giornalisti
anti-terroni si scatenarono in una vergognosa ma proficua campagna denigratoria
nei confronti di Napoli, mentre altri attribuirono quegli incidenti al fatto
che si voleva colpire Achille Lauro ed i suoi numerosi successi imprenditoriali
e politici. La turbolenza dei tifosi del Napoli era però diventata troppo nota
e troppo visibile. Il 29 maggio del 1970 gli stessi partenopei provocarono
gravi disordini nella finale del Torneo Anglo-Italiano che si giocò al San
Paolo tra il Napoli e gli inglesi dello Swindon Town. Il Napoli perse
nettamente per 3-0 ed i tifosi mal sopportarono la gioia degli inglesi. Quella
giornata la ricordano ancora anche in Inghilterra.
Nascono i gruppi ultras. A partire
dalla seconda metà degli Anni Sessanta gli stadi italiani si tappezzarono
letteralmente di striscioni, in un primo momento quasi anonimi o inneggianti
semplicemente alla squadra di casa. Tuttavia, intorno al 1969 sorsero in Italia
i primi gruppi effettivamente ultras. Un primato che al momento condividono le
tifoserie del Torino e della Sampdoria. I blucerchiati degli Ultras Tito
Cucchiaroni, infatti, rivendicano la loro data di nascita al 1969. In un primo
momento si fanno conoscere come Ultras Sant’Alberto e sono tutti ragazzi o
quasi di Sestri Ponente. Dedicano il nome del gruppo ad un calciatore argentino
loro idolo di infanzia Cucchiaroni, che contribuì allo straordinario quarto
posto della loro squadra nel 1961/62. Stessa data di nascita, però, sostengono
di avere anche gli Ultras Granata del Torino, che poi balzano agli onori della
cronaca nel ’71 in seguito agli incidenti tra il Torino ed il Vicenza in una
partita di campionato. I biancorossi veneti vinsero in rimonta per 3-2 con
tripletta di Maraschi, ma i giornali del giorno dopo raccontavano soprattutto
della lunga carovana di tifosi che si lanciò all’inseguimento dell’arbitro Lo
Bello di Siracusa in una delle giornate più buie della sua carriera.
Anche in Italia dal ’69 comunque si registrò
l’inizio del grande fenomeno degli ultras. Tutte le squadre di calcio italiane
in ogni categoria avrà con il passare del tempo il suo o più gruppi ultras
predominanti. Il calcio in generale registrerà la nascita di un nuovo aspetto
tutt’altro che trascurabile, ma che anzi farà parte dello spettacolo calcistico
comodo o scomodo che sia.
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