lunedì 13 gennaio 2014

Top11- La Germania di sempre


di Antonio Vespasiano (giornalista di Calcio2000)

 
 Il motivo che sta alla base di tutti i successi dal calcio tedesco è sempre stato l’orgoglio. Quello stesso orgoglio che ha rimesso in piedi il Paese per ben due volte dopo il macello della Grande Guerra e gli orrori di follia hitleriana. Infatti, il calcio in Germania, sorretto da un consolidato e corposo movimento di base, ha di volta in volta saputo trovato in sé stesso la forza per imporsi, grazie a profonde e radicate motivazioni di rivincita e di rinascita. Lo spirito guerriero del popolo germano, tramandato dalla notte dei tempi fino ai giorni nostri, ha saputo permeare anche l’ambito sportivo, più specificatamente quello calcistico, riuscendo a colmare quel gap storico-fisiologico (la Germania non ebbe uno stato nazionale unitario fino al 1870 e la divisione politico-amministrativa in Länder ha avuto dei riflessi anche nell’organizzazione del campionato di calcio, disputato in campionati regionali e in un torneo finale fino alla nascita dell’attuale Bundesliga nel 1963) che è stato il vero freno a mano della locomotiva tedesca. Nonostante un ricco palmares, infatti, non è un caso che la Germania abbia vinto il suo primo Mondiale solo nel 1954. Dopo un inizio lento e piuttosto laborioso, fatto anche di scelte sbagliate, come quella dell’inserimento dei giocatori austriaci, dopo Anschluss, nelle file teutoniche per i Mondiali del ’38, i tedeschi hanno saputo vincere anche gli impedimenti della storia (nel ’50, infatti la Germania non prese parte ai Mondiali a causa della squalifica relativa agli eventi della Seconda Guerra Mondiale) trionfando nella prima partecipazione postbellica, in Svizzera nel ’54. Il modello di calcio profetizzato dai tedeschi ha sempre fatto dell’organizzazione di gioco e della fisicità degli interpreti un fattore preponderante, unito ad una buona qualità media, anche se non eccezionale, e ad una tattica attenta ma poco innovativa. Eppure generazione dopo generazione i panzer hanno sempre saputo come arrivare in fondo ad ogni grande appuntamento, conquistando importantissimi successi, e mietendo vittime illustri, come l’Ungheria di Puskás nel ’54 e l’Olanda nel Cruyff nel ’74, due scuole calcistiche immortali. Gli dei dal calcio, però, hanno saputo come farsi beffe della Germania, condannandola non solo a storiche ed indimenticabili sconfitte, su tutte il 4-2 a Wembley nella discussa finale mondiale contro l’Inghilterra col gol fantasma di Hurst, e l’epico 4-3 subito dall’Italia nella semifinale di Messico ’70 (partita entrata nella leggenda), ma plasmando anche una vera e propria Nemesi del calcio tedesco, una sorta di anti-Germania per antonomasia e assegnando tale ruolo proprio all’Italia.

 

Passare in rassegna i successi del calcio tedesco è esercizio ridondante viste le prestigiose affermazioni e l’enorme mole di dati statistici che storicamente accreditano la Germania nell’elite del calcio mondiale. Tre Mondiali (’54, ’74 e ’90), tre Europei (’72, ’80 e ’96), torneo questo di cui detiene insieme alla Spagna il record di successi, sono un prestigioso biglietto da visita. Inoltre la Germania è in assoluto la nazionale che ha disputato il maggior numero di partite ai Campionati del Mondo, dove è stata ben sette volte finalista e dodici volte semifinalista. L’unica competizione dove non è mai riuscita ad imporsi sono stati i Giochi Olimpici (solo un Bronzo nel 1988). Morale della favola, quando il gioco si fa duro i tedeschi sono sempre pronti e in prima fila per far valere le proprie ragioni.

 

LA FORMAZIONE DI SEMPRE

 

KAISER FRANZ AL COMANDO

È indiscutibilmente SEPP MAIER il più grande portiere che abbia mai difeso i pali della porta della nazionale tedesca. Fisico asciutto, elasticità nei movimenti, straordinarie doti nel coprire lo specchio della porta e un’eccezionale freddezza nel fermare gli attaccanti lanciati a rete. Maier più che un portiere è stato un vero e proprio baluardo. Soprannominato il “Gatto”, per via della sua agilità, con la Germania ha subito solo 75 reti in 95 partite, prendendo parte a ben quattro Mondiali, vincendo quelli del ’74, con un suo più che decisivo contributo. Altro trionfo fu quello agli Europei del ’72, senza contare la sconfitta in finale in quelli del ’76. Ha fatto parte della leggenda del Bayern degli anni ‘70 con cui ha vinto cinque Campionati, quattro Coppe di Germania, tre Coppe dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Intercontinentale. Suo autentico erede è stato OLIVER KHAN, portiere dal fisico massiccio, ma reattivo e agile. Irascibile nel carattere, mai domo nella tempra, un vero leader in campo, punto di riferimento indiscusso per i compagni ai quali non le mandava certo a dire. Ha vinto otto volte la Bundesliga, una Coppa Uefa, una Intercontinentale e la Champions League del 2001, dove parò tre rigori al Valencia. Campione d’Europa nel 1996 come secondo di Köpke. Nel 2002 pur perdendo la finale Mondiale col Brasile fu nominato miglior giocatore del torneo, premio che al quale vanno sommati i tre riconoscimenti dell’IFFHS quale miglio portiere del Mondo, i quattro quali Miglior portiere d’Europa, i cinque quali Miglior portiere in Germania e i due quali Miglior giocatore tedesco. Straordinario davvero.

Terzino destro BERTI VOGTS, marcatore vecchio stampo, di quelli che non superavano quasi mai la metà campo anche per via di una tecnica non certo raffinata. Eppure sull’uomo era un mastino spietato, marcatore ferreo, implacabile sempre attento e concentrato. Colonna del Borussia Mönchengladbach che negli anni ’70 fece epoca, vincendo cinque Campionati e due Coppe Uefa. In Nazionale ha vinto l’Europeo del ’72 e i Mondiali del ’74. Stopper il roccioso e baffuto JÜRGEN KOHLER. Imponente di stazza, irruente ma deciso nei contrasti, soprattutto in scivolata, concreto e semplice nelle giocate, fortissimo nel gioco aereo. Ha giocato tre Mondiali, vincendo quelli del ’90. Calciatore tedesco dell’anno nel ’97. Ha vestito le maglie di Bayern, Juventus e Borussia Dortmund, vincendo tre Campionati tedeschi, uno italiano, una Coppa Uefa una Intercontinentale e la Champions League proprio contro la Juve che lo aveva mandato via. Libero non può che essere “Kaiser” FRANZ BECKENBAUER, in assoluto il miglior giocatore tedesco di ogni epoca. Capitano e leader indiscutibile. Dopo gli esordi come centravanti e poi mediano si è spostato in difesa inventando un nuovo modo di interpretare il ruolo in virtù di straordinarie doti tecniche e caratteriali, grazie alle quali riusciva ad essere un difensore implacabile, sempre attento e puntuale nelle chiusure, ma allo stesso tempo il primo ispiratore della manovra, una sorta di regista arretrato, naturale e sapiente accentratore di gioco. Univa, con una semplicità straordinaria, stile, tecnica, eleganza, senso di gioco, geometria. Un giocatore fantastico impossibile da imitare. Ai Mondiali è stato una volta primo nel ‘74, una volta secondo nel ‘66 e una volta terzo nel ‘70 finendo sempre nella top 11 del torneo. Senza contare il Campionato Europeo vinto nel ’72. 103 presenze in Nazionale e 14 gol, due Palloni d’Oro, tre Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Coppa delle Coppe, quattro titoli tedeschi, tutti trofei, questi, vinti col Bayern Monaco di cui è, ovviamente, il miglior giocatore di sempre. A sinistra lo spirito ribelle di PAUL BREITNER, terzino a tutto campo con preponderante licenza offensiva. Potenza e tecnica combinate insieme. Dopo aver vinto l’Europeo del ’72 ma soprattutto il Mondiale del ’74, le sue idee politiche (lo chiamavano il “maoista”) e la rottura col collettivo fedele a Beckenbauer lo portò lontano dal Bayern, di cui era stato una colonna. Col Real Madrid s’afferma anche come centrocampista centrale, ruolo che continuò a ricoprire con stupefacente disinvoltura nel suo ritorno in Germania. Calciatore tedesco dell’anno nel 1981 anno in cui arriva secondo anche nella classifica del Pallone d’Oro. In riserva PHILIPP LAHM, esterno difensivo di sicuro affidamento, capace di disimpegnarsi con la stessa efficacia su entrambe le fasce. Prodotto del vivaio del Bayern, ha scalato un gradino alla volta le gerarchie del club bavarese fino ad indossare la fascia di capitano nel fantastico “treble” di quest’anno (Campionato, Coppa nazionale e Champions League). 94 le sue presenze in Nazionale dove ha vinto due bronzi Mondiali, venendo inserito entrambe le volte nella miglior formazione del torneo. Un Argento e un bronzo Europeo. Come stopper merita d’essere citato KARLHEINZ FÖRSTER protagonista insieme a Stielike delle sorti della difesa tedesca agli inizi degli anni ’80. Difensore risoluto nei compiti che gli affidavano. In Nazionale ha colto due Argenti Mondiali (’82 e ’86) e l’Oro agli Europei del 1980. Nel 1982 fu nominato calciatore tedesco dell’anno. Tra i difensori più forti che la Germania abbia mai avuto non si può dimenticare uno come KARL-HEINZ SCHNELLINGER, nato terzino sinistro ma capace di giocare con altrettanta efficacia sia come stopper che come libero, anticipando di qualche anno la poliedricità che rese famosi gli olandesi. Ribattezzato “Volkswagen” per l’affidabilità e l’inesauribile dinamismo. Dopo gli esordi col Colonia, dove vinse lo storico primo titolo del club nel ’62, venne in Italia a cercar fortune e le trovò nel Milan vincendo quattro Campionati, due Coppe delle Coppe, una Coppa dei Campioni e una Intercontinentale. In Nazionale prese parte a quattro Mondiali consecutivi, dal ’58 in Svezia quando aveva appena 19 anni, fino al ’70 in Messico dove realizzò il suo unico gol con la Germania, quello del pareggio al 90° nella semifinale contro l’Italia che permise di dare il là al leggendario “quattroatre”. A sinistra ANDREAS BREHME, ennesimo grande laterale del calcio tedesco. Terzino infaticabile, preciso negli appoggi e glaciale nelle conclusioni sia di destro che di sinistro. Ha segnato un rigore, quello nella finale Mondiale del ’90, che nessuno volava calciare, regalando così il successo ai suoi compagni. Era in campo anche nella finale del 1986, raggiunta anche grazie un suo gol in semifinale alla Francia, gol che bissò nella semifinale del ’90 contro l’Inghilterra tanto per dare la dimostrazione dell’incisività del suo ruolo nei successi teutonici. Con l’Inter vinse il Campionato dei record del 1989 e una Coppa Uefa.

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