da www.calcioromantico.com
Padre Nicola. Un nickname più azzeccato per
Legrottaglie non ci può proprio essere, ma il difensore ex Chievo e Juventus,
ora in forza al Catania, non è certo l’unico atleta di Cristo ad aver calcato i
campi da gioco. Solo cercando tra i sudamericani che in Italia hanno consegnato
alle proprie magliette della salute versetti biblici o ringraziamenti a Gesù,
ecco comparire Taffarel, Zé Maria, Chamot, Vidigal, Alemão, Hernanes, Marcio
Amoroso, Kakà, Adriano e Cavani. Con Legrottaglie fanno una squadra. E se invece
cercassimo dei veri preti giocatori di buon livello? Il campionato del Vaticano
ne sarà forse pieno, ma nessuno di loro è mai balzato agli onori della cronaca.
Un buon esempio è il reverendo anglicano Huleatt, capitano del Messina
F.C. che ricevette nel 1905 dall’incredulo console Whitaker la coppa
omonima dopo che la squadra peloritana aveva battuto l’Anglo Panormitan FBC 3-2. Ma tutto poteva
succedere quando il calcio ancora si chiamava football e il professionismo non
era all’orizzonte.
E allora? E
allora Juan Manuel “el cura” Bazurko, un ecuadoregno non avrebbe dubbi.
Basco, nato nel 1944, Bazurko entra in seminario e contemporaneamente gioca nel
Motrico, Terza Divisione spagnola. Parte nel 1969 missionario per l’Ecuador e,
giunto a San Cristóbal, non appende le scarpette al chiodo e si mette a giocare
nella locale squadra del San Camilo. La voce di un talentuoso delantero
basco che di mestiere fa el cura, il curato, si sparge e così la LDU
Portoviejo, squadra professionista che opera nello stesso distretto, se ne
accaparra i servigi materiali, promettendo all’autorità ecclesiastica di non
interferire con i ben più importanti servigi spirituali, compreso quello di
devolvere in beneficenza l’ingaggio. Fatto sta che da lì a un anno nientemeno
che il Barcelona Guayaquil lo acquista e, non potendolo schierare nei
weekend in cui Bazurko deve fare el cura davvero a 200 km di distanza,
gli dà spazio soprattutto nelle partite infrasettimanali. Come quella del 29
aprile 1971, che è però niente meno che una trasferta per il girone di
semifinale della Copa Libertadores a Mar del Plata, in casa dell’ Estudiantes,
vincitrice delle precedenti tre edizioni e imbattuta in casa nella
competizione. Accade così che a pochi minuti dal termine, un rapido
contropiede, in cui mette lo zampino anche Alberto Spencer (il più grande
giocatore ecuadoregno della storia), permette al prete basco, ben appostato in
area, di battere il portiere avversario Bambi Flores e siglare l’unico gol
della partita.
Un’emozione unica, la prova lampante dell’esistenza di
Dio. Ma niente seguito: nel breve volgere di qualche anno Juan Manuel smette di
essere el cura, nel senso che dismette insieme tacchetti e abito talare,
torna in Spagna e si sposa. Le sue gesta però rimangono e contribuiscono ad
alimentare quell’universo mistico ricco di aneddoti che è il calcio
sudamericano.
federico, ringraziando
per lo spunto Vincenzo Paliotto e il suo Clàsicos
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