Ci fu un periodo, più precisamente a cavallo
degli Anni Settanta ed Ottanta, che le provinciali nobilitavano il campionato
italiano ed anzi lo rendevano più imprevedibile e più vicino ai tifosi di tante
realtà della nostra penisola, abituate a vedere e ad ammirare i grandi campioni
soltanto nelle immagini della tv, peraltro in bianco e nero. Il boom economico
italiano, o presunto tale, portò il grande calcio anche nelle province più
remote, in cui il football fino a quel momento aveva avuto una storia marginale
e soprattutto di ambito locale. Tuttavia, anche se come si lamentava qualche giornalista
o addetto ai lavori che queste città non avevano l’aereoporto e vie di
comunicazione alquanto precarie, scoprirono ad ogni modo la grande piazza delle
fortune calcistiche.
In particolar modo l’Avellino ed il Catanzaro
registrarono permanenze alquanto lunghe nel massimo campionato ed anche
dignitose. Entrambe addirittura sfiorarono la qualificazione ad una
manifestazione europea e tutti e due i club si specializzarono nel mettere in
rampa di lancio calciatori che avrebbero fatto la loro parte nel calcio
italiano. L’Avellino giocò 10 anni consecutivi in Serie A, grazie alla legge
del Partenio (era difficile per chiunque vincere in Irpinia), mentre il
Catanzaro nel 1965 perse immeritatamente la finale di Coppa Italia contro la Fiorentina.
Tra corsi e ricorsi storici proprio al
Ceravolo domenica prossima l’Avellino potrebbe guadagnare i punti necessari
alla promozione in Serie B, per un ritorno in auge importante, ma il 2 gennaio
del 1983 le due squadre si affrontarono per l’ultima volta in Serie A, in una
calda sfida del calcio meridionale. Beniamino
Vignola, centrocampista dal tiro dinamitardo, dopo due minuti portò in
vantaggio i lupi, mentre nella ripresa il rumeno Viorel Nastase, attaccante con una lunga militanza nella Steaua
Bucarest e qualche gol nel Monaco 1860, impattò nella ripresa. In realtà fu
quello uno dei rari acuti di Nastase nel campionato italiano. A Catanzaro lo
ricordano soprattutto perché i dirigenti calabresi erano molto impegnati ad
andarlo a recuperare nelle discoteche della zona. Le società italiane si
prodigarono in una esterofilia non sempre ricca di buoni propositi. Sbarcarono
grandi campioni, ma anche dei bidoni epocali e fra queste c’era anche Nastase.
Andò un po’ meglio all’Avellino, che si
disperò con il danese Soren Skov, ma
potè beneficiare di Geronimo Barbadillo,
peruviano prelevato dal Tigres Monterrey in Messico, dove dopo la sua partenza
avrebbero ritirato per sempre la maglia n. 7, la sua maglia. Barbadillo si
trovò bene in Italia e non se ne andò più, neanche dopo aver appeso le
scarpette al chiodo. Sibilia, il Presidente avellinese, li sapeva scegliere gli
stranieri, ma soprattutto sapeva scegliere i calciatori italiani. Non a caso lo
stesso Vignola, poi Tacconi, Favero, Limido approdarono alla Juventus e non da
semplici comprimari.
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