di Vincenzo Paliotto
Un tifoso ascolano sulla tomba di Strulli (Gazzetta dello Sport) |
Sono passati ormai tanti anni e purtroppo quella di Roberto Strulli rimane una delle tragedie dimenticate del calcio italiano, verificatasi su un campo della Serie C, il massimo traguardo che questo sfortunato portiere avrebbe toccato nella sua breve carriera. Il 14 febbraio del 1965 nel vecchio Stadio Fratelli Ballarin di Sambenedetto del Tronto si giocava uno dei derby più sentiti della penisola tra la locale Samb e il Del Duca Ascoli, non ancora assurto ai livelli di notorietà nazionale, valevole per la quarta giornata di ritorno del Girone C del Campionato di Serie C.
La sfida tra i due club marchigiani era oltremodo sempre sentita, mentre in testa al torneo veleggiava la Reggina di Tommaso Maestrelli, che poi avrebbe vinto il campionato davanti al Taranto e alla Casertana con poche lunghezze di vantaggio. La Serie C si presentava come una categoria agguerrita, articolata ancora in tre gironi nazionali e che non aveva conosciuto lo sdoppiamento in C1 e C2. I bianconeri ascolani godevano di qualche ambizione di classifica in più, i rossoblu invece puntavano ad una tranquilla salvezza. Il Del Duca Ascoli, allenato da Notti, si schierò con Strulli tra i pali, quindi Masetto, Rossetti, Bigoni e Carletto Mazzone sulla linea dei difensori, a centrocampo Camaioni, Tomassoni, Capelli e Baldoni, in attacco Beccaccioli e Ghelli. La Sambenendettese di Eliani rispondeva con Bendin, Beni, Di Francesco, Pagani, Venditti, Minto, Piccioni, Caposciutti, Olivieri e Pucci.
Era difficile per qualsiasi compagine spuntarla sul terreno del Ballarin, dove il fiato dei tifosi della Samb rimaneva per 90 minuti sul collo degli avversari. Figuriamoci per quel Del Duca Ascoli impegnato in un derby di estrema difficoltà. Oltretutto Ascoli e Sambenedetto rimangono divise da una rivalità anche extracalcistica, risalente al tempo in cui il governo italiano doveva assegnare un’altra provincia alla regione delle Marche. In un primo momento la decisone pareva fosse caduta sulla “rossa” Sambenedetto del Tronto, la scelta finale premiò invece la “nera” Ascoli.
Ad ogni modo, in quel pomeriggio di San Valentino la Sambendettese infilò subito la difesa dell’Ascoli per due volte, condannandola ad un impegno molto difficile. La partita era accesa, ma corretta. Ad un certo punto, intorno al 36’ del primo tempo, l’estremo difensore del Del Duca Ascoli Roberto Strulli si adoperò in una bella e difficile parata, ma nel tentativo di recuperare in presa bassa il pallone sfuggitogli dalle mani in piena area di rigore rimediò una ginocchiata del tutto fortuita in pieno viso dal centravanti della Samb Alfiero Caposciutti, che aveva tentato invano di saltare il portiere in uscita. L’impatto, per quanto avvenuto in circostanze del tutto fortuite, si rivelò terrificante e il povero Strulli rimase a terra tramortito, non rianimato neanche dall’intervento dei sanitari. Si capì subito, infatti, che si trattava di un brutto infortunio ed il portiere ascolano fu trasportato d’urgenza all’ospedale di San Benedetto per tentarne un soccorso immediato, in quanto dichiarato già in stato di coma. L’estremo difensore aveva riportato una frattura mandibolare. Caposciutti fu colto da una seria crisi nervosa. In maniera del tutto involontaria aveva colpito il suo avversario, tentando fino all’ultimo istante di evitarne il fatale impatto. Se ne era accorto anche l’arbitro torinese Paolo Pfiffner, anche se la gravità dell’incidente non fu subito chiara a tutti e a gran parte del pubblico. Al tempo non esistevano ancora i cambi e le riserve e tra i pali si accomodò Adelmo Capelli, che non potè evitare gli altri due gol della Samb. Il risultato di 4-0 passò assolutamente in secondo piano e non si pensò neanche di sospendere la partita, in quanto dopo 14 ore di coma, il 15 febbraio del 1965, Roberto Strulli, toscano di Monsumanno Terme, morì ad appena 27 anni per una partita di pallone nel tentativo di evitare un gol degli avversari. Arrivò in ospedale anche lo specialista in neurochirurgia Beniamino Guidetti, ma le condizioni rimasero disperate. Strulli lasciò una giovane moglie, che era incinta di otto mesi di un maschietto che avrebbe portato lo stesso nome di quel padre che purtroppo non avrebbe mai potuto conoscere.
Nella città di Ascoli Piceno, come a San Benedetto del resto, il cordoglio fu enorme e nel capoluogo marchigiano il lutto cittadino durò un mese. Purtroppo a distanza di anni sono in pochi a ricordare questa tragedia legata al calcio di Serie C, che negli Anni Sessanta viveva comunque lontano dai riflettori della grande ribalta. La maggior parte dei calciatori di C vivevano giusto poco oltre la soglia del dilettantismo, al di là di qualche sporadica eccezione. Lucio Mujesan, capocannoniere di quella stagione con la maglia dell’Avellino con 15 reti, ad esempio riuscì a strappare un contratto oneroso prima al Bari e sulla scia dei gol realizzati in C al Bologna in massima divisione. Per il resto, invece, era una vita di meri sacrifici. Strulli se ne andò il quel triste mattino del 15 febbraio del ’65 per aver tentato di tenere inviolata la propria porta. La sua morte ebbe per la sua famiglia conseguenze traumatiche oltre che umane anche economiche. Infatti, all’epoca la vita e l’infortunio di un calciatore erano assicurate per poche migliaia di lire e la vedova Strulli dovette crescere il piccolo Roberto con l’ausilio di pochi spiccioli.
Anche Alfiero Caposciutti visse un prosieguo di carriera non agevole. Era cresciuto calcisticamente nella Fiorentina come portiere, poi la sua stazza fisica lo portarono a ricoprire il ruolo di attaccante con Lucchese, Pistoiese e Prato, prima di passare alla Samb, con cui segnò 11 reti in quella stagione. Lo notò il Messina che la stagione seguente lo portò in Serie B, realizzando 9 reti. Tuttavia, si persero le tracce di lui dopo una stagione ancora in Serie C nel Cosenza. Si trascinò dietro probabilmente nella sua carriera agonistica quell’episodio che lo aveva visto involontariamente coinvolto.
Nonostante tutto, i rapporti calcistici tra Ascoli e San Benedetto continuarono a restare ostili. Anche Carletto Mazzone, in campo al Ballarin nell’infausto pomeriggio del ’65, subì la sindrome del derby marchigiano qualche anno più tardi. Era il 3 marzo del 1968 e contro la Samb Mazzone riportò un infortunio talmente serio che non tornò ad essere più lo stesso grintoso calciatore. Una guarigione mai del tutto avvenuta lo portò al ritiro prematuro dalle scene calcistiche. Infatti, nel 1968-69 Mazzone disputò le ultime gare con la maglia del Del Duca Ascoli, ritirandosi definitivamente all’età di 32 anni e iniziando una luminosa carriera di allenatore.
Nessun commento:
Posta un commento