di Vincenzo Lacerenza
Quando il 22 Luglio del '59 Emilio Azcárraga Milmo, figlio di Azcárraga Vidaurreta, il potentissimo magnate di Telesistema Mexicano - la più popolare emittente televisiva messicana - assunse il controllo del Club America, aveva in mente un piano ben preciso: l'ambizioso rampollo intendeva nel giro di qualche anno, aiutato anche dai maggiorenti di altre squadre, dotare la capitale di un nuovo, imponente stadio. L'impianto, più capiente e accogliente dell'Estadio Universitario, doveva essere il biglietto da visita da dare in pasto alla FIFA per ottenere l'assegnazione dei campionati mondiali, come annunciato da Azcárraga senior alla stampa subito dopo l'ufficializzazione del passaggio di consegne.
Come prima mossa, Milmo affidò la presidenza degli azulcremas a Guillermo Cañedo de la Bárcena. Non era un mistero, infatti, il fatto che il padre stravedesse per l'abile dirigente dello Zacatepec, portato sotto la sua ala a conquistare due titoli messicani nel '54-55 e nel 57-58. L'ultima decade del Club America era stata costellata da risultati assai modesti, per non dire fallimentari. Da due anni, poi, il Chivas si era scrollato di dosso il canzonatorio appellativo di "Ya Merito", cominciando finalmente a vincere. I Chiveriosstavano vivendo i primi bagliori di gloria di quella che passerà alla storia come l'era delCampeonisimo, mentre i capitolini erano costretti a masticare amaro, arrancando e vivacchiando nelle retrovie, lontani dalle posizioni nobili della classifica.
Per invertire la rotta, Guillermo Canedo decide di intervenire pesantemente in sede di campagna acquisti. Seguendo la scia delle sillabe di Vidarrueta senior che, in sede di presentazione, aveva esplicitamente sostenuto che "los mejores jugadores son argentinos y brasileños", il plantel venne rintuzzato con svariati innesti di qualità. La rosa fu completamente rivoluzionata. Sbarcarono a Città del Messico calciatori del calibro diWalter Ormeño, detto "Gulliver", erculeo portiere afroperuviano dell'Alianza Lima con un passato anche alla Bombonera, Alfonso "el Pescado" Portugal, Zague, Moacyr, Ney Blanco, Urubalato, Víctor Mendoza, Antonio Alducín, Antonio "Güero" Jasso, Javier"Titino" Martínez e Víctor Mendoza: da quel momento gli azulcremas, a motivo degli ingenti investimenti operati sul mercato, divennero per tutti le "Millonetas".
In panchina, anche se Trelles, il tecnico della selezione nazionale, stava nelle grazie del patriarca, si sedeva Don Fernando Marcos, un'icona del fútbol messicano. Don Fernando aveva giocato nel Club America al tramonto degli anni '40, prima che un terribile infortunio anticipò il suo ritiro dai campi.
Nell'annata '57-58, dopo un girone d'andata disastroso delle Aquile, era stato contattato d'urgenza dalla vecchia presidenza, chiamato a raddrizzare i numeri fin lì impietosi della squadra. Don Fernando, che conosceva a menadito quell'ambiente, apportò alcune innovazioni nel gioco americanista: i risultati non tardono ad arrivare. Il quarto posto conseguito nel torneo successivo, confermò la bonta di quell'intuizione, assicurando a Marcos la permanenza nella capitale anche in futuro: in un momento gramo, come era stata l'ultima decade, era quella la vetta più alta lambita dal Club America.
Sin dalle prime battute de nuovo campionato, scattato il 28 Giugno, s'intuitì che il titolo sarebbe stato un affare tra i despoti del Chivas, reduci da due anni di trionfi quasi incontrastati, e un rivitalizzato Club America, tornato competitivo con l'avvento della famiglia Azcárraga.
Alla vigilia primo scontro diretto, in programma alla settima giornata, i Chiverios avevano il naso davanti alle Millonetas.
Curiosamente, la banda di Marcos nelle settimane immediatamente precedenti la supersfida affrontò in rapida successione altre due formazioni tapatine come Oro e Atlas, entrambe liquidate con un perentorio 2-0: i capitolini si apprestavano a disputare il loro terzo incontro consecutivo nella capitale jaliciense.
Vinse l'America, ancora una volta per due reti a zero. Al termine della gara, Don Fernando - che era un personaggio erratico e senza peli sulla lingua - circondato dai taccuini e incalzato dai cronisti, pensò bene di burlarsi degli avversari, schernendoli pubblicamente: “América no viene a Guadalajara a ganar, eso es rutina. Nosotros venimos para cambiarle el número de su teléfono de larga distancia. Así es que ya lo saben mis amigos: cada que quieran llamar a Guadalajara marquen dos cero, dos cero, dos cero o el 20-20-20. Cortesía del América”, dichiarò irriverentemente.
Era quella la scintilla che avrebbe incendiato la rivalità tra Chivas e Club America. La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso del Clásico de Clásicos.
Appaiate in vetta al giro di boa, prima della resa dei conti, in calendario alla ventesima giornata, l'America operò il sorpasso, costringendo per la prima volta il Chivas ad inseguire. La gara del 12 Novembre 1959 fu lo spartiacque della stagione. Arpad Fekete, tecnico magiaro al timone del Rebaño Sagrado da un anno e mezzo, si affidò alla pretattica. Diffidando dei giornalisti, sospettati di essere vicini al Club America, nonchè amici intimi di Marcos, in settimana gabbò tutti, diramando un undici che poi non venne confermato in campo: al posto di Luis de la Torre Martinez, annunciato inizialmente tra i titolari, scese in campo Pedro Nuño. L'intento di Fekete era chiaro: cogliere di sorpresa il suo grande rivale Marcos, con il quale non correva certo buon sangue, corazzando la difesa per cercare di pungere gli azulcremas in contropiede. La strategia studiata a tavolino dall'arguto magiaro diede i suoi frutti. La vendetta per quanto accaduto all'andata fu servita dal "Chava" Reyes e da "Pancho" Flores; inutile, se non per consolare il *pubblico da record dell'Estadio Universitario, si rivelò la rete della bandiera americanista griffata da Pavés nel finale . Sbancando il tempio del calcio capitolino, il Chivas, che come da identitaria tradizione schierava tutti calciatori messicani - a differenza del Club America che aveva fatto dei giocatori stranieri il suo slogan e la sua colonna portante - con quel successo spodestò "las Aguilas" dal trono, rimpossessandosi delle redini del torneo. IChiverios non le lasceranno più. Anche se le Millonetas non molleranno la presa. Si arriverà all'ultima giornata con i biancorossi avanti di due lunghezze. Poi, l'America crollerà con l'Atlas, mentre il Rebaño, all'ultima sgambata sul prato di un Parque "Martínez Sandoval" affollato come non mai - si sbarazzerà per 3-2 del Necaxa, festeggiando il terzo titolo della propria storia, il secondo negli ultimi tre anni.
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