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venerdì 14 giugno 2013

La vergogna di Pinochet e la partita fantasma

Tratto dal libro L'altro calcio, storie di football e politica di Vincenzo Paliotto.
L'incredibile partita giocata contro....nessun avversario
 Nessun calciatore al mondo, in qualsiasi categoria in cui esso militi più o meno prestigiosa che sia, si può augurare di giocare e addirittura di fare gol contro nessun avversario. Un’eventualità che purtroppo nella storia del calcio si è verificata in uno scenario macabro e in una circostanza insostenibile per i suoi innocenti protagonisti.

 L’11 settembre del 1973 con un violento colpo di stato ed una severissima repressione il Generale Augusto Pinochet scalzò dal potere del governo del Cile Salvador Allende, che era stato eletto con largo consenso a capo del partito di Unidad Popular. Nel giro di poche settimane l’allegro, vivace e spettacolare paese del Cile si trasformò in una terra di indicibile sevizie, di assassini, di torture e di ogni tipo di oppressione. I governi dei maggiori paesi europei tentarono in qualche modo di disapprovare quanto avveniva a Santiago e dintorni, ma era perfettamente tutto inutile. Pinochet continuò nella sua inaudita mattanza e come quasi sempre avviene in occasione di un golpe, dopo le iniziali perplessità, tutto sembrò poi rientrare nell’assoluta quotidianità delle cose.


 
In uno scenario del genere la nazionale cilena di calcio si trovò il 21 novembre del 1973 a giocarsi lo spareggio per approdare alla fase finale della Coppa del Mondo in Germania nel 1974 contro l’URSS. Nelle eliminatorie sudamericane gli andini avevano estromesso il Perù e quindi nella gara di andata dello spareggio avevano ottenuto un prezioso pareggio a reti inviolate a Mosca in una serata freddissima. A Santiago del Cile i padroni di casa avrebbero potuto così gestire una grossa opportunità di staccare il biglietto per la Germania. La gara era in programma il 21 novembre all’Estadio Nacional di Santiago del Cile, ma l’URSS, scandalizzata da quanto avveniva in territorio cileno tra assassini, torture e prigionieri politici, chiese alla FIFA di disputare la gara in campo neutro, ma dopo il meschino rifiuto di quest’ultima, rinunciò con clamore ma con onore al suo viaggio in Cile. La FIFA in maniera allucinante non fece nulla per evitare un simile scandalo e di contribuire a condannare una delle dittature militari più sanguinose della storia. I sovietici in pratica si rifiutavano di andare a giocare all’Estadio Nacional, che era stato usato come un lager per contenere i numerosi prigionieri politici ed i dissidenti del regime di Pinochet. Negli spogliatoi dello stadio avvenivano le torture e nei sotterranei i massacri di corpi e di identità mai più ritrovate. Quando si dispose la data della gara di ritorno dello spareggio contro l’URSS il terreno di gioco dell’Estadio Nacional fu in tutta fretta liberato dal piscio, dal sangue e dal vomito dei poveri prigionieri cileni.


 La farsa, però, assunse contorni ancora più assurdi e macabri, in quanto i militari di Pinochet imposero alla federazione calcistica cilena di disputare comunque quella partita, anche senza gli avversari di quel giorno. Una decisione che copriva di infamie e di ridicolo i calciatori del Cile, con le loro coscienze non solo di calciatori ma soprattutto di esseri umani. L’allenatore Luis Alamòs comunicò ai propri giocatori questa infame decisione e spiegò loro che all’azione di gioco avrebbe dovuto partecipare tutta la squadra, mentre il “gol decisivo” doveva essere segnato dal capitano di quella formazione Francisco Valdès. Un racconto orribile, così come lo avrebbe poi divulgato a distanza di oltre vent’anni l’attaccante di quella nazionale cilena Carlos Caszely: “La nostra nazionale sarebbe ugualmente scesa in campo da sola, e al termine di un’azione in cui tutti i componenti della squadra avrebbero dovuto toccare il pallone, uno di noi avrebbe dovuto segnare nella porta vuota. Poi ci sarebbe stata un’amichevole contro il Santos, ma il clou della giornata avrebbe dovuto essere quell’assurda pantomima. Quando me lo dissero non ci volevo credere. Ma con il passare dei giorni capii che era tutto vero, e allora cominciò la mia crisi. Già vivevo male quei giorni sapendo quello che accadeva intorno a me, sapendo che molti miei amici erano stati portati in quello stadio, e poi torturati e uccisi; mi sentivo un vigliacco, mi vergognavo di continuare la mia vita come niente fosse successo, mentre intorno a me succedeva quello che succedeva. Ma voi potete immaginare quale atmosfera ci fosse in quei giorni nel mio paese. Un’atmosfera di paura, la toccavi, la paura, ti ci scontravi ogni volta che ti muovevi, che giravi la testa, che alzavi un sopracciglio. Ci voleva troppo coraggio per sconfiggere tutta quella paura, e io non ce l’avevo tutto quel coraggio”.

 Carlos Caszely era ed è stato uno dei migliori calciatori nella storia del Cile. Attaccante della squadra più famosa e blasonata del paese quale il Colo Colo, avrebbe poi avuto anche esperienze in Spagna, con le maglie di Levante ed Espanyol, ed in Ecuador. Non aveva mai nascosto le sue idee politiche e pertanto si professava apertamente di sinistra, appoggiando Unidad Popular e lo stesso Salvador Allende. “Nessuno mi fece niente però, nonostante tutto. Ero troppo famoso perché quei vigliacchi avessero avuto il coraggio di toccarmi”. Lo stesso Carlos pensò che l’incombenza di spingere il pallone in quella porta desolatamente vuota sarebbe toccata a lui. Anche perché il regime si sarebbe così potuto vendicare dell’avversità politica impunita del calciatore. Il regime, invece, indicò il “goleador” di giornata nel capitano Francisco Valdès, capitano della nazionale e bandiera anche lui del Colo Colo. “Povero Francisco- continuò Carlos Caszely- Figlio di operai, militante di sinistra da sempre, quando l’allenatore gli comunicò quella notizia lo vidi sbiancare”. Il povero Francisco Valdès fu costretto a siglare il gol più triste della storia. Il centrocampista del Colo Colo si riconosceva in uno dei calciatori più rappresentativi ed amati del paese. Aveva militato anche con l’Union Espanola, il Deportivo Antofagasta ed il Desportes Arica. Tuttavia, proprio con l’amico di tante battaglie Caszely aveva conosciuto una pagina bellissima della sua carriera. Infatti, proprio in quel maledetto 1973 il Colo Colo arrivò per la prima volta nella sua storia nella finale della prestigiosa Copa Libertadores. Mai una squadra cilena ci era riuscita prima di allora. In finale però l’avversario era il fortissimo Independiente di Avellaneda, campione uscente. In Argentina il Colo Colo impattò per 1-1, dopo esser passato in vantaggio, mentre a Santiago pareggiò per 0-0. Il regolamento, che non era come quello europeo del gol doppio fuori casa, imponeva lo spareggio da giocarsi a Montevideo. Il Colo Colo con onore perse per 2-1. Il gol del momentaneo pareggio fu proprio di Caszely. Si era nel maggio del 1973, nessuno ancora immaginava il peggio.

 Un arbitro austriaco, di cui non si ricorda il nome, partecipò in maniera attiva e complice a quell’assurda messinscena. Il fischietto austriaco avrebbe potuto evitare il tutto non dando inizio a quella gara fantasma o non presentandosi proprio a Santiago del Cile. Invece, non fu così. Tutti pensarono di partecipare a quell’incredibile triste sublimazione del regime, persino i tifosi che affollarono in tripudio le gradinate dell’Estadio Nacional. Lo sventolio delle bandiere, i cori di incitamento in quello che era stato un teatro di autentiche atrocità, ma cosa avevano da festeggiare quella gente, pensò disperato lo stesso Caszely. Per tutte le ore che anticiparono quella farsa l’attaccante del Colo Colo aveva pensato a come evitare quella figura ridicola. Un modo c’era, magari quello di calciare in fallo laterale il pallone prima che questo pervenisse al povero Francisco Valdès. Ma ci voleva molto, molto coraggio e quel giorno, giustamente, Caszely non se la sentì di andare incontro ad un simile affronto.

 Il rientro negli spogliatoi dopo la farsa fu traumatico per tutti. I calciatori accusarono tutti qualche malore, Valdès si rifugiò in bagno a vomitare. Lo stesso Valdès scrisse qualche anno più tardi, per l’esattezza nel 1993, una commovente lettera al poeta massimo del Cile Pablo Neruda in cui raccontava l’angoscia ed il trauma di quell’assurda esibizione: “Le scrivo per togliermi un peso enorme dalla coscienza, sono quasi vent’anni che me lo porto dentro”.

 L’Estadio Nacional, orgoglio del Cile, era diventato il campo di concentramento maledetto della dittatura di Augusto Pinochet. Secondo le stime della Croce Rossa soltanto nei primi dieci giorni del golpe sul terreno dell’Estadio Nacional furono internate più di 7.000 persone, condannate ad ogni tipo di tortura, sopruso e quindi uccisione. Nessuno, però, fu in grado di evitare quello scempio, ma ancor di più l’organismo calcistico internazionale avallò quel tipo di allucinante finzione calcistica, che allo stesso tempo si presentava come impagabile sistema di propaganda per il regime.

 La partecipazione del Cile ai Mondiali del 1974 in Germania si rivelò comunque completamente deficitaria. Il Cile perse di misura a Berlino contro la Germania Ovest e quindi rimediò due pareggi al cospetto della Germania Est e dell’Australia, facendo subito ritorno a casa. L’impressione è come se gli stessi cileni avessero provato vergogna a godere della gioia di partecipare ad un Mondiale di calcio. “Quando tornai in Cile da quel Mondiale mi sentii quasi sollevato”, aggiunse Caszely al suo ritorno da Berlino. Oltretutto proprio nella partita inaugurale contro i tedeschi futuri Campioni del Mondo Caszely rimediò il cartellino rosso comminatogli dal turco Babacan. L’attaccante cileno si era reso protagonista di un tentativo di scalciare il forte Berti Vogts. Fu più un atto di frustrazione e di nervosismo che altro in un Mundial da dimenticare. Caszely del resto non era mai stato espulso nel corso della sua carriera.

 Il regime di Augusto Pinochet si chiuse, invece, soltanto nel 1988. Un referendum popolare mise fine agli abusi e alle torture del generale di Valparàiso. Pinochet fu appoggiato nel suo golpe in maniera convinta dalla CIA, che beneficiò anche del benestare  del governo retto da Nixon, e bombardò con aerei americani il Palazzo Presidenziale, in cui morì con tutta probabilità lo stesso Salvador Allende. In merito, infatti, al decesso di quest’ultimo esistono delle diverse versioni. Troppo importanti per gli americani erano le riserve minerarie, soprattutto del rame, e petrolifere dei cileni. Allende, infatti, aveva nazionalizzato le maggiori compagnie estrattive del paese delle materie prime ed i maggiori istituti di credito e si era schierato nell’orbita di Cuba, nell’ottica di un risollevamento economico e popolare del paese. Tuttavia, il paese dovette affrontare un serio momento di crisi economica, che provocò anche delle fratture internamente ad esso. Ma ovviamente tutto questo non giustificava le violenze che poi Pinochet mise in atto. Il golpe si rivelò particolarmente violento, anche perché fu difficile destabilizzare in un primo momento la consolidata supremazia di Unidad Popular, che per vincere le elezioni si era appoggiata anche molto sulla democrazia cristiana. La democrazia cilena era riconosciuta in tutto il Sudamerica e nessuno degli altri paesi del continente si sarebbe aspettato un capovolgimento delle sorti governative così netto. I condannati cileni sotto la dittatura di Pinochet furono complessivamente 130.000, almeno nelle cifre attendibili e stimate.

 Sarebbe, poi, ritornata la democrazia in Cile, ma senza dimenticare quelle atrocità e quella triste partita fantasma.

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