Nel ristretto novero delle avversarie
continentali i cileni non risultano proprio ad alta digeribilità nelle
attitudini dei più titolati brasiliani. Nonostante il divario ancora esistente
nel palmarès a disposizione delle due squadre, gli andini hanno spesso tenuto
testa agli auriverdi, magari facendo frequentemente ricorso al loro gioco duro
ed ostruzionistico. La sfide delle sfide tra Brasile e Cile si giocò, comunque,
nell’edizione iridata del 1962, quella per intenderci che si disputò proprio
nel paese andino. E la posta in palio in quel giorno di giugno del 1962 era
veramente alta: Brasile e Cile infatti si affrontavano nella semifinale della
Coppa Rimet, che gli auriverdi peraltro giocavano nel ruolo di detentori. In
oltre 76.000 gremirono l’Estadio
Nacional de Chile. Il paese intero si fermò ed il governo cileno impose il
coprifuoco a partire dalla ore 22, per evitare un eventuale smodato eccesso di
gioia oppure in caso di sconfitta tentativi estremi di affogare la delusione.
Nonostante la grinta messa in campo dai cileni, il Brasile vinse per 4-2,
portandosi in avanti nella prima mezz’ora di gioco con una doppietta di Manè Garrincha, l’inarrivabile eroe di
quel Mondiale. Pelè del resto non c’era in quanto pesantemente acciaccato.
Mentre Vavà siglò il gol decisivo. I cileni in campo sfogarono la loro
frustrazione con la solita e vergognosa caccia all’uomo, di cui era rimasta
vittima anche l’Italia. Ed Arturo
Yamasaki, l’arbitro peruviano di quella partita, fu costretto ad espellere
il fallosissimo Landa. Poco dopo cacciò poi dal campo anche Garrincha, reo di
aver scalciato Rojas, dopo aver subito l’ennesimo cattivissimo fallo. Dunque,
Garrincha, il brasiliano più forte, non avrebbe potuto giocare la finale e per
giunta, mentre usciva dal rettangolo di gioco dopo il cartellino rosso, fu
colpito alla testa da una pietra lanciata dagli spalti. Senza Manè il Brasile
rischiava di perdere la finale, ma anche in questo caso la FIFA escogitò una
delle sue immancabili e scandalose manovre strategiche. Il governo brasiliano
attuò pressioni enormi, affinchè a Garrincha fosse tolta la squalifica. Intervenne
il Primo Ministro brasiliano Tancredo Neves, che si avvalse dell’aiuto del
solerte Joao Havelange, in quel
momento Presidente della federcalcio brasiliana. La strategia di Havelange fu
impeccabile, in quanto convinse il guardalinee di quella partita Esteban
Marino, uruguagio, che Garrincha era stato inopportunamente provocato da Rojas
e quindi il cazzotto da questi rifilato era quasi per una sorta di “legittima
difesa”. La commissione d’urgenza riunita dalla FIFA votò con un 5-2 la
riammissione di Garrincha alla finale, screditando una volta di più un’edizione
del Mondiale già pesantemente compromessa dai favoritismi praticati proprio in
favore del Cile. Il Brasile poi vinse la finale per 3-1 contro la
Cecoslovacchia, che pur ben messa in campo non riuscì ad arginare le finte di
un Garrincha seppur a mezzo servizio.
Più netto risultò, invece, il divario tra le
due squadre nella Coppa del Mondo del 2010 in Sud Africa, con il Brasile che si
affermò per 3-0 con i gol di Juan, Luìs Fabiano e Robinho. In questa occasione
non si verificarono episodi incresciosi da corollario al match iridato.
Tuttavia, il Cile nelle altre competizioni ha dato più di qualche dispiacere proprio al Brasile, in particolar modo in occasione della Copa America. Nel 1987 nella fase finale della Copa che si giocava in Argentina, i cileni sconfissero il Brasile per 4-0 in un epico match a Cordoba. Ivo Basay e Letelier siglarono una doppietta a testa ed ancora oggi sono tra gli eroi nazionali del paese.
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