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Calcioerivoluzione.blogspot.com
è un blog tutte da leggere, sottolineare e riflettere. I suoi contenuti
calcistici si affacciano e si allargano verso dinamiche veramente importanti.
Ne abbiamo pertanto preso questo articolo che parla in maniera in parte diversa
da quanto ci hanno detto dei fatti di Istanbul degli ultimi giorni.
Turchia. Istanbul. Sono giorni che i principali social
network sono invasi da appelli, immagini e video della protesta scoppiata una
settimana fa ad Istanbul. La protesta, nata in difesa dell'ultimo spazio verde
pubblico, nel cuore della Istanbul turistica, si è ben presto propagata a
macchia d'olio estendendosi in oltre 40 città turche e diventando un qualcosa
di più ampio. Non più la semplice lotta per la difesa di un parco, non più la
semplice lotta contro l'ennesimo piano speculativo, ma una vera e propria lotta
contro il governo di Erdoğan e le sue politiche; una
lotta delle classi oppresse contro un modo d'intendere la vita politica e non,
totalmente in antitesi con le loro esigenze. Perché sebbene sui mass media
nostrani la questione venga ridotta all'oramai classico schema del paese islamico
in rivolta per il secolare conflitto laicismo/islamismo, che ad ogni modo non
ci sentiamo di escludere totalmente dalla questione, crediamo piuttosto che la
protesta oramai si muova su binari leggermente diversi: quelli di un
conflitto tra diverse visioni sull'uso dello spazio urbano, quella delle classi
dirigenti e quella della gente che vive, lavora e gioca nella città. Ed
infatti ad animare la rivolta ci sono proprio loro: gli oppressi, gli
sfruttati, gli studenti, i lavoratori, le minoranze etniche ed anche gli
ultras.
Ebbene si! Proprio come in Egitto anche in Turchia gli
ultras sono scesi in piazza, mettendo da parte le loro rivalità calcistiche,
per fronteggiare la polizia, a proprio rischio e pericolo. Sono al fianco di
chi lotta per i propri diritti e per la propria dignità, per un mondo diverso.
Sono li a combattere contro l'autoritarismo della polizia e del governo turco,
consapevoli della repressione e della violenza attuata dallo stato. Loro che
prima di altri hanno dovuto fare i conti, sulla propria pelle, con tutto
questo. Loro, bollati - secondo la più classica retorica dei poteri - come
nemici interni della società contemporanea che con i propri comportamenti
rischierebbero di compromettere l'ordine sociale. Loro, vere e proprie cavie
degli esperimenti di repressione e controllo sociale attuati dai vari stati,
perché è bene ricordare che i linguaggi, i codici e le pratiche di
disciplinamento applicati in un settore, nello specifico il calcio, se efficaci
finiscono per circolare in tutte le nervature sociali. Le pratiche e i
linguaggi del contenimento del nemico interno si mostrano, anche nel calcio,
insofferenti di fronte al rispetto dei confini originari. Non c'è quindi da
meravigliarsi né per le proteste degli ultras contro la tessera del tifoso, in
quanto chiaro tentativo di limitare la libertà personale in nome di un sempre
più serrato controllo sociale, né tanto meno della successiva proposta dello
stato d'esportare la tessera del tifoso in ambito politico, partorendo l'idea
della tessera del manifestante. Non è una novità infatti che quando ciò che
accade intorno al calcio smette di valere solo per questo luogo, lo stadio ed i
suoi attori diventano il laboratorio ed i protagonisti di un modello sociale da
riprodurre nella società.
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