Il calcio spagnolo dell’inizio degli anni Ottanta fu caratterizzato dal sequestro e dalla lunga prigionia di cui fu oggetto il centravanti del Barcelona e della nazionale Ernesto Castro Quini. Il calciatore, nato ad Oviedo il 23 settembre del 1943, venne rapito il 1° marzo del 1981 nelle ore successive alla partita casalinga in cui il Barca si era imposto ai danni dell’Hercules Alicante, proprio con una tripletta dello scatenato e sfortunato Quini. La sua prigionia in mano ai terroristi baschi dell’ETA durò 25 giorni, fin quando l’attaccante in forza al club catalano fu ritrovato nei pressi di Saragozza e liberato al termine di una operazione spettacolare da parte della polizia spagnola. Per una stranissima ma favorevole coincidenza nel giorno della sua liberazione la Spagna si impose per 2-1 in casa dell’Inghilterra a Wembley, in uno stadio in cui non aveva mai vinto.
Quini era arrivato in forza al Barcelona da pochi mesi, dopo che la dirigenza azulgrana lo aveva corteggiato insistentemente già da diverso tempo. Ma Ernesto Castro meritava simili attenzioni in sede di campagna acquisti. Cresciuto in un club minore come l’Ensidesa, nel 1968 passò in forza allo Sporting Gijon, club che servì con grande dedizione e professionalità fino al 1980. Con lo Sporting realizzò ben 148 gol in 287 partite, vincendo per ben tre volte il Trofeo Pichichi, in pratica il titolo di capocannoniere della Liga, nel 1974 (con 20 gol), nel ’76 (con 21 centri) e nell’ 80 (con 24 reti), ma non raccogliendo praticamente mai una soddisfazione a livello di club. Ed infatti all’età di 31 anni prese l’ultimo treno utile della sua carriera per una grande di Spagna, accettando le lusinghe del Barcelona. Con i catalani visse un’altra splendida parentesi agonistica, confermandosi come miglior cannoniere spagnolo del momento. Anche se il suo primo anno in blaugrana non fu proprio fortunatissimo. Il sequestro impedì alla sua squadra di affermarsi nella Liga. Infatti, al momento del rapimento di Quini il Barcelona si trovava in testa alla classifica del campionato. L’assenza del bomber di Oviedo favorì l’ascesa in graduatoria della sorprendente Real Sociedad, che avrebbe poi vinto il titolo strappandolo per differenza-reti al Real Madrid. Il Barcelona, invece, giunse soltanto al 3° posto. Tuttavia, i catalani si rifecero nella Coppa del Re, vincendola nettamente in finale contro l’amato Sporting Gijon di Quini. La finale terminò con il punteggio di 3-1 per il Barca. Purtroppo il Barcelona nella stagione successiva non riuscì a ripetere un torneo brillante come quello dell’80/81 e Quini sarebbe rimasto clamorosamente a secco di scudetti nella sua carriera. Nonostante il suo sequestro, Quini aveva vinto nuovamente il Trofeo Pichichi nell’81 (andando a segno in 20 occasioni) e se lo sarebbe aggiudicato anche nel 1982 (con 26 marcature personali).
La stagione del 1981/82 fu, ad ogni modo, segnata dalla conquista di un trofeo internazionale per il Barcelona: la prestigiosa Coppa delle Coppe. I blaugrana vinsero il secondo torneo continentale per importanza, battendo nella finale proprio al Camp Nou lo Standard di Liegi di Raymond Goethals. Quini realizzò al 63’ il punto decisivo, dopo il vantaggio dei fiamminghi realizzato all’ 8’ con Vandersmissen ed il momento pareggio del danese Allan Simonsen. Un bel Barcelona quello del tedesco Udo Lattek, con il già citato Simonsen e con il tedesco Bernd Schuster come stranieri.
La permanenza del miglior attaccante spagnolo degli Anni Ottanta a Barcelona durò fino alla stagione del 1983/84, al termine della quale Quini aveva giocato 99 partite con lo score personale di 54 gol. Con tante prodezze personali il calciatore rimase comunque con il cruccio di non aver mai vinto il campionato. Dalla stagione del 1982/83 il centravanti trovò in squadra anche l’apporto di Diego Armando Maradona. Acquisto miliardario che però non bastò al Barca per vincere un nuovo scudetto.
Quini, comunque, tornò nel suo Sporting Gijon, ritirandosi definitivamente nel 1987, il tempo di realizzare altri 17 centri in massima serie in 61 partite all’attivo. Nella Liga l’attaccante ha realizzato complessivamente ben 216 reti, figurando in assoluto come tra i migliori di sempre in un campionato quasi sempre nella sua storia dominato a suon di gol dai bomber stranieri.
Del resto anche con la maglia della nazionale spagnola il terribile cannoniere in 35 partite aveva segnato 8 gol, prendendo parte ai Mondiali del 1978 e del 1982 e agli Europei del 1976 e del 1980. La nazionale spagnola, però, a cavallo degli Anni Settanta ed Ottanta non viveva indubbiamente un periodo di grandissimo splendore e, oltre a qualche risultato di prestigio, le glorie internazionali delle furie rosse si rivelarono alquanto esigue.
Quini si presentava come un attaccante dal fisico raccolto, non molto alto e robusto, ma in possesso di una grandissima agilità e di un non comune senso del gol.
Il sequestro di Enrique Castro Quini fece comunque grande scalpore in Spagna e non solo negli ambienti calcistici iberici. Infatti, il terrorismo basco, escogitato dal gruppo armato dell’ETA (Euzkadi Ta Azkatasuna), vale a dire Terra Basca e Libertà, stava portando scompiglio e vittime già da diversi anni nella società politica spagnola. Il gruppo armato dell’organizzazione era sorto nel 1967 e con gli altri gruppi dell’ultrasinistra spagnola osteggiava il regime fascista del franchismo. A carico dell’ETA anche l’assassinio nel 1973 del capo del governo Carrero Blanco e di molti militari della Guardia Civil. In realtà le vittime, gli attentati ed i sequestri dei baschi furono numerosi, con l’unico intento di rivendicare l’autonomia delle Province Basche. Con molta fatica la Spagna è riuscita, tra numerose concessioni di autonomia, a tenerle sotto la corona di Madrid.
D’altra parte la stessa Barcelona ed in senso più lato la Catalogna sono da sempre al centro delle attenzioni in Spagna per quanto riguarda propositi di indipendenza dal potere centrale. Nel 1968 il presidente del Barca di quel periodo, Narcis de Carreras, avrebbe coniato un formula magica per il suo club: mès que un club, qualcosa di più di una squadra. Uno slogan forte che resiste tutt’ora in tutta la Spagna e nel mondo. In effetti essere tifoso del Barcelona ha sempre rappresentato qualcosa di più che essere un sostenitore di una squadra di calcio. Nell’epoca franchista essere un blaugrana era pericoloso allo stesso modo che dichiararsi comunista o nazionalista catalano. Il Barcelona ha significato nell’epoca della dittatura del Generale Franco il simbolo dell’antifranchismo stesso. Non a caso durante la Guerra Civile di Spagna il Presidente del Barcelona, ma anche deputato del partito nazionalista di sinistra, Josep Sunyol i Garriga fu fucilato da un commando di falangisti ad un posto di blocco.
Ma già negli Anni Venti il governo centrale aveva dispensato di provvedimenti severi il club catalano. Infatti, il campo delle Corts, uno dei primi terreni di gioco del Barca, fu fatto chiudere dal dittatore Primo de Rivera, in quanto in occasione di una partita casalinga i tifosi blaugrana avevano fischiato la Marcha Real, l’inno spagnolo.
Lo scrittore Manuel Vazquez Montalbàn definì qualche anno prima della sua morte il suo Barcelona ed i suoi tifosi come: “esercito simbolico disarmato della Catalogna”. Del resto attraverso le maglie blaugrana del Barca è sempre emerso un catalanismo esuberante e vero nella realtà spagnola. Non a caso nel favoloso ed immenso Camp Nou da qualche parte si legge sempre Catalunya is not Spain, per ricordare una volta di più che la Catalogna è qualcosa di diverso e di autonomo. E su queste frequenze del tifo e della politica da sempre ormai in Spagna si celebra una delle sfide calcistiche più affascinanti del mondo tra il Barcelona ed il Real Madrid. Una sfida di calcio, di tifo, di politica e di economia, dove due mondi diversi si confrontano e saranno rivali sempre. Così come unico rimarrà per sempre il Barcelona, mès que un club. L’unica squadra al mondo che invece di ricevere soldi dal suo sponsor che compare sulle maglie, l’Unicef, lo finanzia.
da L'altro calcio. Storie di football e politica, L'albero Comunicazione Visiva, 2010
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